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“La mobilitazione non è più rinviabile. Il 2 febbraio sarà sciopero”. Questa la conclusione della giornata di ieri, in cui si è tenuto l'incontro al ministero dello Sviluppo economico tra sindacati e governo sul destino di Piombino. Incontro che si faceva attendere ormai da questa estate e più volte rinviato. Ma ad aspettare i sindacati non ci sono state le rassicurazioni sperate sulle intenzioni di Cevital, perché ormai in molti nella città toscana, vertici sindacali, operai e semplici cittadini prevale un atteggiamento di sfiducia nei troppi annunci del presidente Rebrab, a cui poi non hanno mai fatto seguito i fatti.
“Il governo si è assunto l’impegno di convocare in maniera ultimativa Issad Rebrab al fine di verificare definitivamente la possibilità di mantenere fede a quanto sottoscritto – recita il comunicato di Fiom, Fim e Uilm -. I sindacati hanno fatto presente la situazione di grave incertezza venutasi a creare dalle mancate realizzazioni di quanto Rebrab aveva promesso in termini di realizzazione del piano industriale. Questa situazione, a partire dalla mancanza del circolante, fino a una non più tollerabile indefinitezza del piano industriale, rischiano di mettere in seria crisi il progetto Piombino così come configurato dell’accordo di programma del 2014”.
Il tempo sembra davvero finito e Rebrab è ormai alla prova dei fatti. A poco sono servite le rassicurazioni fornite a mezzo stampa di pochi giorni fa. Rebrab ha ridotto le prospettive di occupazione in siderurgia, passando da 1.480 dipendenti a 750-1000, proponendosi di impiegare nel giro di tre anni altre 2.000 persone nell’industria agroalimentare e 350-450 nella logistica portuale. Propositi che in realtà hanno lasciato molte perplessità, non solo perché non rispettano gli accordi precedenti, ma soprattutto per le coperture finanziarie ritenute ancora generiche dai sindacati.
La continuità produttiva resta tuttavia il problema più urgente da risolvere: è legata ad essa infatti la possibilità di mantenere in piedi i contratti di solidarietà con i quali Aferpi ha assorbito la totalità degli ex lavoratori Lucchini (2.156 al netto dei pensionamenti). Si aggiunge poi il rischio che Aferpi, a causa dell’andamento discontinuo delle produzioni, perda quote di mercato che in futuro potrebbe recuperare con estrema difficoltà. Inoltre a luglio scadrà l’impegno, previsto dalla Prodi bis e sottoscritto dai nuovi proprietari degli asset ex Lucchini, di proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali, mantenendo la produzione e soprattutto l'occupazione.
Spunta però un piano B che molti consideravano impossibile, ma di cui da qualche giorno si è cominciato a ventilare la possibilità. Nel caso di inadempienza dei propri impegni da parte di Rebrab, potrebbe intervenire la Cassa depositi e prestiti, così come sta avvenendo all’Ilva di Taranto. In caso di default dell’acquirente per il mancato finanziamento del piano da parte degli azionisti, la procedura Lucchini dovrebbe attivare le garanzie previste dal contratto, con «l’escussione del pegno sulle azioni», che passerebbero quindi alla procedura Lucchini, ancora titolare di una quota.
In questo modo nel capitale di Aferpi entrerebbe la procedura: lo Stato, con Cassa depositi e prestiti, potrebbe così inserirsi nella holding siderurgica in modo corretto dal punto di vista delle regole europee. A quel punto inizierebbe la ricerca di un partner industriale. Il nome più probabile, visto che già nei mesi scorsi se ne è parlato come di un possibile socio di Rebrab, è quello di Sajjan Jindal, battuto nella gara per la Lucchini proprio da Cevital, di cui poi è diventato fornitore per gli impianti piombinesi.
In realtà l’ipotesi, che in fondo è quella che i sindacati caldeggiano da prima dello spegnimento dell’altoforno, porterebbe a un progetto ancora più ambizioso coinvolgendo non solo Jindal, ma anche la nuova Ilva di Taranto che si appresta a prendere forma. Solo ipotesi, che però stanno cominciando a prendere campo. Rebrab, non appena sarà convocato al minstero, dovrà dichiarare con i fatti le proprie intenzioni, convincendo il governo. Che altrimenti potrebbe trovare altrove.