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Un rimborso una tantum, per un valore che andrà da 278 euro a un massimo di 750, quest’ultimo per le pensioni più basse. È questa la soluzione trovata dal governo, ribattezzata dal premier “bonus Poletti”, per rispondere a quanto teoricamente previsto dalla recente sentenza della Corte costituzionale. Il rimborso sarà contenuto nell’assegno di agosto, nella nuova data unica del primo del mese, per una spesa totale di quasi 2,2 miliardi di euro. Saranno coinvolti 3,7 milioni di pensionati, mentre gli esclusi (cioè coloro che superano la soglia di 3 mila euro al mese) sono circa 650 mila. In settembre, poi, partirà una prima indicizzazione (di recupero degli anni 2014-15), mentre nel 2016 ci sarà – almeno secondo le intenzioni dell’esecutivo – un adeguamento al costo della vita “più generoso”, del valore di altri 500 milioni.
Sono queste le decisioni assunte dal Consiglio dei ministri di lunedì 18 maggio, che assume la forma di un decreto, adesso al vaglio del presidente della Repubblica Mattarella. Il governo attende anche il giudizio di Bruxelles, che dovrebbe però essere positivo: il provvedimento, infatti, rispetta gli obiettivi di bilancio prefissati, con un impatto sui conti pubblici ridotto al minimo. Un esborso maggiore, invece, avrebbe portato l’Italia in procedura d’infrazione e richiesto una manovra correttiva.
La soluzione, però, non lascia ovviamente soddisfatta la Cgil. “Dal governo è arrivata una prima parziale risposta, ma la questione non è ancora risolta'” commenta la segretaria generale del Sindacato pensionati Carla Cantone: “'Non basta un bonus una tantum per sanare gli arretrati, così si restituisce solo il 30 per cento del dovuto. I governi hanno prelevato dalle tasche dei pensionati 16 miliardi di euro in quattro anni e nessuno sa dove siano finiti, mentre alle grandi rendite non è stato chiesto nulla”. Riguardo la rivalutazione dal 2016, continua Cantone, siamo di fronte "a un passo in avanti, ma vogliamo verificare il testo per capire come viene effettivamente tutelato il potere d’acquisto delle pensioni. Per questo insistiamo per un confronto di merito con il governo”.
Sul tema delle pensioni, intanto, si aprono grandi manovre. Il governo, infatti, sta pensando di realizzare, attraverso la Legge di stabilità per il 2016, una revisione più complessiva della cosiddetta “riforma Fornero”. L’obiettivo, stando alle prime indiscrezioni, è quello di permettere una maggiore flessibilità per poter andare in pensione prima della data stabilita, in cambio di una decurtazione dell’assegno mensile. La rigidità della legge Fornero dovrebbe quindi lasciare il posto a forme flessibili di uscita dal lavoro, con penalizzazioni crescenti dell’ammontare proporzionali a quanto ci si allontana dall’età standard per la vecchiaia (che oggi è di 66 anni e tre mesi).