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Il tema delle pensioni di reversibilità tiene banco da giorni. Il governo smentisce. I sindacati attaccano e chiedono un confronto urgente. “Una rapina legalizzata, perpetrata in particolare ai danni delle donne, che hanno una pensione mediamente inferiore a quella degli uomini e dunque in futuro rischiano di impoverirsi ulteriormente”. A dirlo è Ivan Pedretti, che si è insediato alla guida dello Spi Cgil il 3 febbraio e ha già iniziato a dare battaglia. È stato lui infatti a denunciare per primo il problema delle future pensioni di reversibilità: il disegno di legge delega sulla povertà che il governo ha da pochi giorni fatto approdare alla commissione Lavoro della Camera prevede la possibilità di rivedere le pensioni erogate agli eredi alla morte del pensionato o del lavoratore che abbia maturato i requisiti per l’assegno.
Rassegna Sulla reversibilità cosa pensa di fare ora lo Spi Cgil?
Il ddl ora in commissione stabilisce che le reversibilità siano considerate prestazioni assistenziali e non più previdenziali. Significa che l’accesso a questo tipo di pensione sarà legato da questo momento in avanti all’Isee, per il quale conta il reddito familiare e non quello individuale. Se il provvedimento dovesse passare, saranno tante le persone che non si vedranno più garantito tale sacrosanto diritto. La possibilità di mettere mano alle pensioni di reversibilità è semplicemente una follia. Mi auguro che il governo decida di fare marcia indietro in occasione della discussione che si aprirà a breve in commissione Lavoro. I margini per una seria modifica ci sono tutti, ma serve innanzitutto la volontà politica. Una cosa è certa: se non ci saranno riscontri positivi, non staremo certo fermi a guardare. Abbiamo chiesto un confronto con il governo. Speriamo arrivino presto delle risposte.
Rassegna Veniamo al tuo nuovo incarico. Quale contributo pensi di portare dalle tue precedenti esperienze di operaio metalmeccanico e di dirigente della Fiom alla guida dello Spi?
Pedretti Quello dei pensionati è un sindacato generale, come spesso lo definisco, non una semplice federazione, come quelle dei lavoratori dei diversi settori. Qui, dove arrivano gli ex di tutte le categorie, ti trovi a confrontarti con la dimensione della persona anziana, che è appunto una dimensione generale. Non devi fare il contratto, devi ragionare sul sistema sanitario, sull’assistenza sociale, sui servizi territoriali a cui puoi affidarti. Siamo un sindacato che si muove essenzialmente nella dimensione – vera e propria frontiera della confederalità – della contrattazione sociale. Perché se io faccio una lotta per superare le barriere architettoniche di questo o quel territorio, ne consegue certamente un beneficio per l’anziano che ha difficoltà di deambulazione; ma anche positive ripercussioni sulla mamma che deve portare suo figlio in passeggino. Insomma, l’idea che più mi preme affermare, e che mi piacerebbe mutuare dall’esperienza degli anni trascorsi in seno al movimento operaio, è quella di un sindacato che negozia e contratta e che sa quali sono le sue controparti. Non è una novità di oggi: come Spi abbiamo iniziato a percorrere questa strada da tempo, ma è un terreno su cui sono intenzionato a muovermi con intensità maggiore che in passato.
Rassegna Lo Spi – unitariamente ai suoi omologhi di Cisl e Uil – ha mantenuto in tutti questi anni il filo del dialogo con il governo, anche con quello a guida Renzi, riuscendo a portare a casa risultati concreti. Uno per tutti: l’estensione della no tax area con l’emendamento all’ultima legge di stabilità. Ti muoverai sulla stessa scia?
Pedretti È evidente che la discussione sulle pensioni di reversibilità non si muove sullo stesso solco. Nel luglio scorso insieme a Fnp Cisl e Uilp Uil avevamo istituito un tavolo di confronto con il ministro Poletti. Eppure nessuno ci ha consultato prima di depositare il disegno di legge sulla povertà. Ma è indubbio che avessimo chiuso il 2015 con alcune novità positive. La no tax area è un principio che noi continueremo a valorizzare e chiederemo di rappresentarlo nella sua compiutezza. Perché è evidente che la no tax area è solo una tappa di avvicinamento alla parificazione fiscale tra lavoratori dipendenti e pensionati: in realtà, per una parificazione vera c’è ancora molto da fare. Soprattutto se teniamo conto che ai lavoratori dipendenti, a differenza dei pensionati, è stata riconosciuta anche una detassazione di 80 euro nette. Non ci vuole molto per capire, dunque, che la nostra richiesta di parificazione fiscale, che oggi rinnoviamo al governo Renzi, rappresenta per noi sia un tema di giustizia sociale che una risposta economica da mettere in campo, considerando che i pensionati sono quasi un terzo del paese e che se si impoverisce una tale massa economica e finanziaria di spesa, oltre che di consumo, si impoverisce anche l’Italia nel suo complesso.
Rassegna Non sarà pertanto uno Spi pregiudizialmente “all’opposizione”, quello che dirigerai nei prossimi otto anni. È una sintesi che può andar bene?
Pedretti No, non saremo pregiudizialmente all’opposizione. Ma ci saremo ogni volta che il governo farà qualcosa che non ci sta bene e che danneggia migliaia di pensionati. E sulla reversibilità noi non faremo un passo indietro. Perché la questione dei rapporti con il governo non è se l’inquilino di Palazzo Chigi mi piace o meno. Il tema vero è attinente al merito, e nel merito risponderemo con dei sì o con dei no. Serve il dialogo e il confronto, su questo come sul resto. Ma non c’è alcun dubbio che se nel tempo dialogo e confronto dovessero risultare impossibili, vale come sempre per noi anche l’idea della mobilitazione. La verità è che in un paese dove l’invecchiamento della popolazione è ampio, occorre ridisegnare le tutele, quelle del welfare e quelle economiche. È questo l’impegno che noi vogliamo assumerci da qui in avanti nei confronti del governo, di questo come di qualsiasi altro. Per questo avevamo accolto positivamente alcuni elementi contenuti nella legge di stabilità. Penso all’aumento del finanziamento sulla povertà, così come era stato formulato a fine anno. Non era la soluzione per tutti i mali che accompagnano il fenomeno, però è anche vero che, partendo da zero, 600 milioni quest’anno, fino a un miliardo e 600 milioni nel 2017, significava provare a dare al drammatico problema una prima risposta. Certo, se poi per finanziare l’assistenza, e quindi il fondo per la povertà, si finisce per toccare la previdenza, ovvero le pensioni di reversibilità, non ci siamo proprio.
Rassegna Hai accennato prima alla contrattazione sociale, che è stata per anni nei territori una prerogativa quasi esclusiva del sindacato pensionati. Oggi si può ben dire che si tratta di una pratica – in qualche modo di una cultura – condivisa in ambito Cgil. Una centralità recepita implicitamente persino nel testo dell’accordo unitario sul nuovo sistema di relazioni industriali…
Pedretti La contrattazione sociale ha assunto una sua dimensione generale nella nostra organizzazione, perché rappresenta il cambiamento del modello industriale del paese. Oggi, a differenza che in passato, ci troviamo di fronte a una realtà di imprese piccole e piccolissime, diffuse e distribuite sul territorio, dove spesso il sindacato non è presente. La contrattazione sociale si riposiziona in questo cambiamento, in questo territorio diffuso e prova a ricostruire i diritti, le tutele delle persone, partendo dai luoghi in cui esse in carne e ossa vivono. Serve contrattare le politiche sociali e un sistema di servizi più efficaci ed efficienti. Servono una seria battaglia contro l’evasione fiscale locale e una molteplicità di interventi che favorisca la tutela dei lavoratori, oltre che dei pensionati. Serve innovare il sistema negoziale e serve un’innovazione di carattere confederale: nei luoghi di lavoro non si riescono più a tenere insieme i diversi lavori e a unificarli, come si faceva prima nelle grandi imprese. Ora si deve provare a unificarli nel territorio, tentando in questo modo di ricostruire il tessuto dell’uguaglianza.
Rassegna Già vedo piovere le critiche: lo Spi fa politica.
Pedretti La verità, lo ha spiegato prima e meglio di me Bruno Trentin riferendosi alla Cgil, è che noi non siamo avulsi dalla politica, siamo autonomi dalla politica in senso partitico. Quando affrontiamo temi che riguardano la difesa e la tutela di tutti i cittadini compiamo un’azione politica. Come quando facciamo un accordo per la riforma di un sistema sanitario regionale o quando contribuiamo a una riforma sull’invecchiamento attivo. Il problema nasce quando non siamo messi nella condizione di confrontarci con la nostra controparte governativa: dire quando le cose vengono fatte bene che siamo d’accordo e, viceversa, quando sono fatte male che dissentiamo.
Rassegna Qual è il contributo specifico che lo Spi sta apportando alla campagna della Cgil per la diffusione della Carta dei diritti universali del lavoro?
Pedretti Un contributo importante. Lo Spi è una grande organizzazione della Cgil, di cui rappresenta tre milioni di persone. Per questo siamo fortemente impegnati in questi giorni nel fare assemblee, nel confrontarci con tutti i nostri iscritti affinché questo tema abbia la rilevanza giusta. Un impegno finalizzato ad allargare la dimensione del consenso attorno a temi tanto importanti come quelli contenuti nel testo di nuovo Statuto. Sono convinto che non possiamo ridisegnare da soli la tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, dobbiamo costruire un sistema di alleanze che ci consenta di far vivere quella proposta al paese e, di conseguenza, di incalzare il Parlamento perché si avvii una discussione per costruire una normativa adeguata. La stessa legge 300, d’altronde, nel 1970 la facemmo unitariamente, costruendo un percorso, ragionando con le forze politiche, con gli imprenditori più illuminati. Oggi dobbiamo fare la stessa cosa, parlare con gli intellettuali, con Cisl e Uil, con pezzi delle forze del Parlamento, ascoltando tutti e misurando le posizioni di ognuno. Abbiamo un compito importante, se si vuole davvero raggiungere l’obiettivo di una nuova Carta dei diritti, perché altrimenti il rischio è che un’idea di tale impatto innovativo finisca per rinsecchire e ripiegarsi su se stessa.
Rassegna Vedi davvero questo rischio?
Pedretti Quello che sto cercando di dire è che il sindacato deve misurarsi con il cambiamento ed essere esso stesso soggetto di innovazione. La storia della Cgil è stata questa cosa qui: è diventata grande perché in ogni passaggio epocale ha provato a rimodellarsi per rispondere alle nuove sfide che le si paravano davanti. Prendiamo il caso della pubblica amministrazione, che vive oggi un difficile – direi epocale – passaggio di fase. Se noi diciamo che nella sanità è necessario superare le liste di attesa, dobbiamo anche sostenere che c’è bisogno di una diversa organizzazione del lavoro. Allo stesso modo, se sosteniamo la casa della salute nel territorio, dove mettere insieme il medico, l’assistente sociale, l’infermiera, lo specialista, significa che quei soggetti che prima agivano all’interno dell’ospedale si debbono spostare nel territorio dove è più vicina la persona: significa – anche qui – cambiare l’organizzazione del lavoro, ma nel contempo avere l’opportunità di discutere di nuove professionalità per quei lavoratori. Il tutto avendo ben chiara l’idea del nostro ruolo di soggetto votato all’efficacia e all’efficienza dei servizi e, di conseguenza, alla tutela dei lavoratori più onesti.
Rassegna Ti dispiacerebbe essere più esplicito?
Pedretti Voglio dire che non si può tentennare di fronte a un lavoratore che timbra un cartellino per altri suoi colleghi o con la lista della spesa già in mano. Quel lavoratore va a casa. Lui si tuteli, se vuole farlo, ci mancherebbe, però deve sapere che il sindacato, di fronte a un atteggiamento disonesto, non esita. Perché, se vuole essere più credibile nella sua richiesta di un sistema più efficace, il sindacato deve stare con decisione dalla parte di chi lavora di più e meglio. E le persone che lavorano di più e meglio nella pubblica amministrazione sono la maggioranza.