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E' un magro bilancio quello in corso a New York, alle Nazioni Unite dal 9 al 20 marzo, sulla condizione delle donne a 20 anni dalla IV Conferenza mondiale di Pechino e sugli obiettivi per il prossimo ventennio.
Ai lavori partecipano, oltre delegati/e ufficiali dei governi, circa novemila rappresentanti della società civile da tutto il mondo, che discuteranno nei prossimi giorni anche degli obiettivi di sviluppo sostenibile, non appena la Dichiarazione sarà resa pubblica.
Si tratta dell'appuntamento annuale della Csw, Commissione delle Nazioni Unite sullo sullo status delle donne (la 59ª sessione della Csw, struttura dedicata alla promozione dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere, tra gli organismi del Consiglio economico e sociale dell’Onu) che dal 1996 ha il compito di verificare e monitorare i progressi degli Stati membri dell’Onu nel raggiungimento degli obiettivi posti e nell’attuazione dei principi sanciti dalla Piattaforma di azione di Pechino del 1995, che indicava 12 aree critiche su cui impegnarsi, oltre che elaborare standard mondiali per il miglioramento e il rafforzamento della condizione e della posizione delle donne nella società.
Quest'anno al centro dell’incontro il ventesimo anniversario della Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma d'azione per il prossimo ventennio, sui progressi raggiunti e i gap ancora da colmare riguardo la condizione delle donne nel mondo. Purtroppo però, come nelle sessioni precedenti, si continua a registrare un progressivo arretramento sui diritti delle donne, nei contenuti, negli impegni e persino nel linguaggio della Dichiarazione, per volontà di troppi Paesi come la Russia, la Santa Sede, l'Indonesia, il Nicaragua, alcuni Paesi africani, animati dall'obiettivo non nuovo di bloccare qualsiasi passo in avanti verso l'uguaglianza tra uomini e donne.
Nella Dichiarazione politica i governi "si impegnano a intraprendere ulteriori azioni concrete per assicurare la piena, effettiva, accelerata implementazione della Dichiarazione di Pechino e della Piattaforma di azione". Ma nessuna azione specifica o concreta per accelerare questa implementazione è prevista nel testo. La delegazione sindacale presente ha per questo richiesto un impegno dei governi più forte e più chiaro.
Inoltre, a differenza delle scorse sessioni, in cui le Risoluzioni condivise venivano adottate alla fine dei lavori, questa volta gli Stati hanno votato la Dichiarazione politica di valutazione del processo di Pechino nel corso della riunione inaugurale, senza il contributo delle organizzazioni delle donne e delle organizzazioni femministe. Questa modifica di procedura ha reso più difficile la partecipazione dei sindacati e delle Ong ai negoziati, che hanno reagito con una denuncia pubblica. Nei prossimi giorni si discuterà dunque anche del metodo di lavoro della Commissione e la delegazione sindacale sta facendo pressione affinchè ci sia un maggiore coinvolgimento e protagonismo del sindacato durante i lavori della Commissione.
Le donne "continuano a soffrire in modo sproporzionato per la crisi economica, per gli impatti dei cambiamenti climatici, per gli spostamenti causati dai conflitti e dalle persecuzioni", ha detto il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, aprendo i lavori della sessione della Commissione. Per il leader del Palazzo di Vetro l'obiettivo deve essere quello di arrivare alla parità di genere entro il 2030. Venti anni fa la Conferenza di Pechino aveva aperto una nuova era. La dichiarazione finale adottata da 189 paesi era il primo impegno formale da parte di stati, governi, forze economiche, politiche, sociali e culturali per la valorizzazione delle donne come leva per la trasformazione delle attuali forme di sviluppo e convivenza.
In questi due decenni sono stati fatti passi avanti, ma la strada verso la parità è ancora lunga e troppo deve essere ancora fatto. Basti pensare, come ha sottolineato Ban Ki-moon, che all’attuale tasso di progresso ci vorranno 81 anni perché le donne raggiungano la parità sul posto di lavoro con gli uomini. Per non parlare della violenza: una pandemia che nel mondo colpisce una donna su tre.
Il nodo centrale resta l'occupazione, che vede l'Italia, come il Paese che ha fatto meno per incoraggiare le donne a entrare nel mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione femminile al terz'ultimo posto in Europa, seguita da Grecia e Malta. Problema da noi sollevato anche nel corso di un panel organizzato dal governo italiano con Cgil, Uil e la società civile, che sarà seguito prossimamente da un incontro in Italia. Pressioni analoghe per inserire il tema del lavoro sono state poi fatte dalle rappresentanti del sindacato mondiale (Ituc).
Il quadro non è proprio confortante e i dati dimostrano come i monitoraggi ufficiali non raccontino la consistente disparità di genere, presente su molti e diversi livelli. Le donne continuano a subire violenza oltre a diffuse discriminazioni e disuguaglianze sul lavoro, continuano a dover scegliere tra lavoro e maternità, oltre un’insufficiente difesa della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi.
L'invito al pianeta, dalle partecipanti alla quarta Conferenza mondiale di Pechino nel 1995, a “guardare il mondo con occhi di donna” non è stato sufficientemente raccolto dai governi. A dimostrazione che i progressi fin qui realizzati, non dipendono dalla loro 'benevolenza', ma dalla tenacia di organizzazioni femministe, Ong, sindacati, che hanno lottato e se li sono faticosamente guadagnati un passo alla volta, come continueremo a fare per esigere un effettivo impegno della politica, che diventa sempre più urgente.
* responsabile politiche di genere Cgil Nazionale