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Troppe incertezze sul fronte dei rinnovi contrattuali e delle politiche occupazionali relative al pubblico impiego, Cgil, Cisl e Uil proclamano lo stato di agitazione nei comparti delle funzioni centrali, locali e nella sanità pubblica. La decisione delle sigle di categoria è per rivendicare, "viste le carenze nella legge di bilancio, adeguate risorse economiche per il rinnovo dei ccnl per il triennio 2019-21, al netto della stabilizzazione dell'indennità di vacanza contrattuale e dell'elemento perequativo, insieme a un necessario stanziamento per finanziare un nuovo sistema di classificazione del personale".
Sul fronte del ricambio generazionale, i sindacati chiedono "un piano straordinario di assunzioni, insieme a interventi per gli idonei e alla proroga delle procedure di stabilizzazione previste dalla legge Madia". Le sigle di categoria rivendicano, fra le altre cose, "anche la rimozione dei vincoli imposti alla contrattazione integrativa unilateralmente da parte del Mef relativamente alla percentuale di destinatari delle progressioni economiche orizzontali e la restituzione della piena autonomia della contrattazione al riguardo". Su quest'ultimo punto, i sindacati hanno deciso di "procedere con diffide formali poiché dai confronti sin qui avuti non vi è alcuna certezza di una risoluzione che assegni alla contrattazione le titolarità di tradurre e applicare le previsioni normative che non fissano alcuna soglia".
Ai problemi del pubblico impiego i sindacati hanno dedicato, lo scorso 12 dicembre, la seconda delle tre giornate di mobilitazione nazionale a Roma (nella terza, martedì 16 dicembre, si parlerà di welfare). È proprio dai contratti che la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti ha iniziato il suo intervento: “Vanno rinnovati subito, ci sono casi clamorosi, come quello della sanità privata e della Multiservizi: persone che aspettano un rinnovo da 10, 12 anni. È inammissibile, è una presa in giro, una grave mancanza di rispetto per chi lavora”.
Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, i sindacati rilevano che il fondo dei contratti dei dipendenti pubblici prevede per il 2020 un intervento di soli 225 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi allo stanziamento di 1 miliardo e 100 milioni del 2019, ma sono chiaramente insufficienti per i rinnovi contrattuali. Nello stanziamento complessivo di 3 miliardi e 175 milioni di euro previsto a regime per il 2021, dunque, manca la quota di risorse utile a stabilizzare il cosiddetto ‘elemento perequativo, che va garantito.