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Sul blocco dei contratti del pubblico impiego nel Def c’è, a esser buoni, un po’ di confusione. A essere sospettosi una modalità classica: annunciare, far trapelare per sondare le reazioni nel paese. Così Nicola Nicolosi, segretario nazionale Cgil e responsabile pubblico impiego, nel suo intervento di questa mattina (16 aprile) su Radioarticolo1 nel corso della trasmissione “Italia Parla” (qui il podcast). “Nel Def – ha detto – non c'è nessuna traccia di ipotetici incrementi e di rinnovo dei contratti dei pubblici dopo cinque anni di blocco. Il governo si giustifica dicendo che le risorse dovranno andare non nel Def ma nella legge di stabilità che si dovrà discutere in autunno. A quel punto vedremo. Ho il sospetto che qualcuno dirà che, visto l’incremento di 80 euro in busta paga, il rinnovo può saltare ancora. Sarebbe sbagliatissimo. Per noi il rinnovo dei contratti è parte integrante del processo di riforma della pubblica amministrazione”.
A proposito del quale Nicolosi stigmatizza anche il fatto che, a parte un incontro informale, nessun tavolo di confronto è stato aperto. “Ma la cosa ancora peggiore – dice – è che c'è chi ipotizza di poter fare le riforme non solo senza, ma anche contro i lavoratori. Tuttavia le riforme fatte in questa maniera non funzionano: la dimostrazione sta nel fatto che nell'arco degli ultimi 20 anni sono state fatte cinque riforme della Pa, con 70 decreti legislativi, e siamo ancora qui a parlarne. Procedere in questa maniera secondo me significa solo fare populismo”. Molto critico, Nicolosi, anche con gli annunci in materia di spending review: “Attaverso una serie razionalizzazione della spesa, e non con tagli lineari, si possono certamente recuperare risorse economiche. Ma bisogna partire da assunti seri. Faccio un esempio: la sanità privata costa ormai il 34% della spesa pubblica per la sanità. Vogliamo o no intervenire? Altro aspetto fondamentale, è che qualsiasi risparmio così ottenuto debba poter essere ridestinato alla sanità, perché la sanità pubblica va migliorata”.
Tra le novità interessanti contenute nel Def c’è il tetto di 238.000 euro per gli stipendi dei manager pubblici. “Questo è sicuramente un provvedimento che va accolto positivamente. Quando un dirigente, tra l’altro senza rischiare capitale o risorse proprie, arriva a guadagnare più di 600 lavoratori messi insieme, è evidente che qualsiasi dinamica di proporzioni ragionevoli è saltata. Per non parlare delle liquidazioni esorbitanti che queste persone incassano quando lasciano”.
Quanto alle recenti nomine dei manager pubblici, il segretario confederale sottolinea che “le grandi aziende pubbliche rappresentano un patrimonio della collettività nazionale, luoghi che possono garantire un processo di ripresa economica e anche di produttività”. Quindi “l’aver messo alla presidenza dell'Eni l'ex presidente di Confindustria, che è favorevole alla privatizzazione, vuol dire che non si ha a cuore la sorte di queste aziende di Stato”. D’altro canto, aggiunge Nicolosi, “molte aziende italiane falliscono proprio perché non hanno una dimensione adeguata per competere su scala globale, mentre queste grandi società pubbliche, al contrario, hanno un ruolo importante proprio sul piano della competizione internazionale”.
Infine, la nomina delle donne ai vertici: “Giusto nominarle, sbagliato che non abbiamo incarichi di gestione diretta. Anche qui, quindi, un po’ di populismo: si è partiti con il piede giusto ma senza il coraggio necessario di arrivare fino in fondo”.