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Le prossime elezioni amministrative diranno qualcosa di più attendibile su come si stanno disponendo gli orientamenti reali dei cittadini. Al momento sono possibili delle inferenze provvisorie, destinate a essere confermate o smentite dallo sviluppo degli avvenimenti. Nelle grandi città è visibile uno stato di completa anarchia politica che sembra contrastare con l’immagine granitica di un Partito Unico della Nazione che conquista sempre nuovi proseliti nelle Camere.
Le griglie coalizionali, e i simboli nazionali della competizione tra destra e sinistra, sono ormai saltati. E, almeno in questo, il territorio conferma quello che da due anni succede nel Palazzo, dove il Pd ingrossa le truppe, in un gran ritorno delle pratiche del trasformismo. Nelle periferie, non ci sono più confini di partito, esiste un indistinto calderone, in esso tutto si mescola, senza coerenza, stabilità, conflitto effettivo tra programmi.
La destra, dal canto suo, ha poco da sperare nel voto amministrativo. Già assente, prima del diluvio che l’ha disintegrata, dal controllo delle grandi città, ora che non ha ancora trovato la via per una sua embrionale riorganizzazione, vaga nella più profonda incertezza. Potrà forse tornare a essere protagonista nella capitale, ma non per una sua recuperata competitività (l’eredità di Alemanno pesa come un macigno). È comunque difficile che, con Meloni al comando, sbaragli la concorrenza di altre formazioni, pronte all’affondo per l’assedio finale al Campidoglio.
Anche a Milano una destra colpita dagli scandali non sembra attrezzata per approfittare del grande vuoto che lascia la rinuncia di Pisapia alla corsa per il secondo mandato. Lo stile populista molto aggressivo di Salvini, mentre penetra nelle periferie, facendo breccia nelle paure disseminate nelle piccole e medie città, non sembra avere le caratteristiche per sfondare in una metropoli come il capoluogo lombardo, dalle forti sensibilità post-materialiste.
La vera sfida per la destra non è quella di conquistare i municipi, ma di mostrare di essere ancora potenzialmente (in caso di alleanze tra eterogenei soggetti) il secondo polo della contesa. Questo, in fondo, sarebbe anche l’auspicio del Pd, che vedrebbe con estremo favore un ballottaggio con una destra fragile. Il fatto è che, a Roma o a Napoli, i democratici scontano delle prevedibili difficoltà a organizzare una loro offerta politica, che abbia delle credibili potenzialità di successo.
In una metropoli come Milano, il cui controllo assume un significato di lungo periodo, visibili sono i ritardi nella confezione di una proposta politica solida. Stenta anche la selezione di una candidatura di effettivo rilievo. Il panorama è per ora coperto da aspirazioni a Palazzo Marino coltivate da figure visibilmente poco prestigiose. La sinistra che guidava Milano, Genova, Cagliari con un proprio esponente è immersa anch’essa in un dilemma strategico. Esclusa dalle alleanze nazionali, per via della vocazione maggioritaria che con l’Italicum impedisce coalizioni e apparentamenti, a livello locale cerca di procedere a macchia di leopardo. Nella certezza che un’alleanza politica con il Pd è impossibile da stipulare per il 2018, la sinistra si trova nell’imbarazzo di dover rompere governi locali che la vedono coinvolta in posizioni cruciali o di confermare un’intesa in condizioni di subalternità politica, rischiando così di lavorare per il nemico, che intende asfaltarne ogni traccia.
Un fenomeno nuovo, che potrebbe avere una ricaduta simbolica nient’affatto trascurabile, è l’apparizione di liste civiche di sinistra a Bologna o a Torino (ma anche a Roma l’ipotesi non è da scartare). Esse adottano una tattica di guerra di movimento. In città-simbolo (Torino, per la presenza, nel ruolo di sindaco, dell’ultimo segretario del Pds, distintosi per un renzismo oltranzista; Bologna, per l’opera di potentati economici che hanno indotto la “ditta” a cedimenti sulle riforme costituzionali e del mercato del lavoro) una sinistra diffusa lancia la sfida al Pd. L’obiettivo è quello di acciuffare il ballottaggio o comunque di rimescolare le carte, per graffiare Renzi e costringerlo a misurarsi con il senso della sconfitta.
Soprattutto per il M5S le consultazioni di primavera assumono un ruolo strategico. Nelle grandi città, i grillini dovranno confermare la possibilità di raccogliere le ansie antisistema, per diventare il secondo polo elettorale e contendere al ballottaggio la guida del governo al Pd. Nell’evoluzione della contesa elettorale in una direzione post-partitica e post-coalizionale, si profila all’orizzonte un grande scontro tra il Palazzo e la società civile, tra il sistema e l’antipotere, tra il populismo mite e il populismo forte. Gli strateghi dell’Italicum, e gli amici del “facilitatore” Verdini, hanno combinato un bel pasticcio e il sistema politico potrebbe di nuovo esplodere.