Le cifre che sintetizzano gli effetti della crisi (82.000 imprese chiuse e un milione di posti di lavoro persi dal 2008 a oggi) si riferiscono al contesto nazionale. Non tengono cioè conto, pur nella loro drammaticità, delle enormi differenziazioni territoriali che gravano sull’economia italiana. Mentre una certa retorica della seconda Repubblica enfatizzava la questione settentrionale come la vera emergenza, abilmente rigonfiata con i venti di secessione, si consumava una gigantesca regressione generale dei livelli di vita nel Mezzogiorno (con il 13 per cento in meno del Pil).
Un’influente stampa (del Nord), la stessa che conduceva la sacra battaglia contro la casta, metteva in circolazione la leggenda secondo cui i mali del Sud dipendevano unicamente dal suo ceto politico e amministrativo, così imbelle e parassitario da non essere in grado di acciuffare il fiume d’oro proveniente dai fondi europei. La conseguenza di questo pseudo giornalismo d’inchiesta era che le colpe vere o presunte degli amministratori locali dovevano ripercuotersi sui cittadini, sulla cui pelle andava misurata la contrazione delle risorse come giustificata misura esemplare.
È chiaro che questa battaglia contro l’incapacità dei ceti politici locali non è innocente. Significa, in una lotta per accaparrarsi risorse sempre più scarse, sottrarre ai territori più in sofferenza fondi preziosi da dirottare verso altre destinazioni. Con il governo in carica è stato inferto il colpo decisivo alle strategie per il recupero competitivo del Sud. Se persino il governo Monti e poi quello Letta avevano istituito un ministero per la Coesione territoriale, con l’esecutivo Renzi il tema della politiche pubbliche per lo sviluppo del Mezzogiorno esce dall’agenda delle istituzioni centrali.
Scrive l’economista Gianfranco Viesti (“Italianieuropei”, n. 1 del 2015) che con la legge di stabilità del 2015 il governo, nel silenzio generale, taglia i 3,5 miliardi previsti dal Piano di azione coesione e di fatto “cancella i passi avanti che si erano registrati con gli esecutivi Monti e Letta” grazie all’azione di bravi ministri come Barca e Trigilia. Le conseguenze sul fronte dell’inclusione sociale, della lotta alla povertà, della copertura dei servizi essenziali sono di lungo periodo. La conclusione di Viesti è che “le politiche economiche stanno colpendo in modo particolare il Mezzogiorno”.
Anche su questo campo, prevale il chiacchiericcio di un governo via tweet che annuncia visite nei luoghi del dolore cui nulla corrisponde in termini di politica industriale, di investimenti, di infrastrutture. Si verifica così il paradosso che il governo Renzi non solo elimina il ministero per la Coesione territoriale, ma – ricorda Viesti – fa sì che “lo Stato intervenga accompagnando con proprie risorse quelle comunitarie assai più in Lombardia (50 per cento) che in Calabria (25)”. Il bello è che, mentre affonda il Sud, taglia i diritti sociali e cancella l’articolo 18, il governo – “gasatissimo per Marchionne” – si pavoneggia perché avrebbe finalmente recuperato “il primato della politica”.
Nel silenzio generale il Sud sprofonda
Con il governo in carica è stato inferto il colpo decisivo alle strategie per il recupero competitivo delle regioni meridionali. Una gigantesca regressione dei livelli di vita
24 febbraio 2015 • 00:00