Dal primo luglio il “ghetto” di Rignano Garganico, divenuto tristemente noto in tutta Europa quale simbolo delle condizioni di accoglienza disumane che l’Italia riserva ai lavoratori migranti, sarà cancellato per sempre dalle mappe della provincia di Foggia. E l’impegno che la Regione Puglia, per mezzo del suo assessore alla Legalità Guglielmo Minervini, ha ribadito ieri in un incontro svoltosi in Prefettura a Foggia con sindacati e associazioni di volontariato. Basta con le baracche in legno senza energia e acqua, stop al dominio incontrastato dei caporali.

Ne hanno parlato giornali e tv di tutta Europa, in Svezia qualcuno s’è spinto a proporre il boicottaggio dei prodotti italiani, in particolare conserve di pomodoro, dopo aver scoperto le forme di sfruttamento al limite della schiavitù cui sono costretti i lavoratori migranti. Ora la giunta guidata da Nichi Vendola ha deliberato la realizzazione di quattro tendopoli che saranno allestite dalla Protezione Civile, utili a ospitare in maniera dignitosa i lavoratori migranti che a migliaia si spostano nelle campagne della Daunia per la stagione di raccolta del pomodoro. All’interno sportelli di assistenza legale e sindacale, servizio di primo soccorso sanitario, mense.

Per i lavoratori stanziali
invece Cgil, Flai e Libera sostengono il progetto promosso dell’associazione “Ghetto out” e dal centro di accoglienza della Asl “Art Village”, la realizzazione di un ecovillaggio autocostruito che garantirebbe alloggio a quattrocento persone, con un costo pari a quanto si spende ogni anno per portare acqua potabile e bagni chimici nel “ghetto”.

Assieme all’ecovillaggio è partita la richiesta alla Regione Puglia di affidamento di venti ettari di terreni demaniali incolti situati nell’agro di San Severo, non distanti dal “ghetto”, da affidare a cooperative di lavoro miste, italiani e migranti, per realizzare progetti di agricoltura ad alto impatto sociale. Sia per assicurare una sorta di autosufficienza alimentare al nascente ecovillaggio sia per sperimentare coltivazioni tradizionali africane, puntando sulla rete del commercio equosolidale. Prodotti dall’alto valore aggiunto come alcune semenze di miglio, che in Africa costano 40 centesimi al chilo mentre in Italia dieci euro.

“C’è un impegno verbale della Regione a sostenere questo progetto”, spiega Daniele Calamita, segretario generale della Flai di Foggia. Ma in attesa delle decisioni della politica, “già quest´anno la Puglia produrrà pomodoro etico: un privato – spiega il sindacalista della Cgil - ha messo a disposizione dei terreni, e lì lavoreranno italiani e migranti, con regolare contratto. Abbiamo l´interesse e il sostegno di esperti e agronomi. Il territorio questa sfida la vuole vincere. Servono interventi strutturali, serve superare la logica dell’emergenza, serve investire sul protagonismo dei migranti. Tra pochi anni la Capitanata non dovrà più essere associata a parole come ghetti, sfruttamento, schiavi”.