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Il 22,4% delle donne che al momento della gravidanza lavoravano a distanza di due anni dalla nascita del figlio non lavora più. Statistica scioccante quella diffusa dall'Istat nel volume 'Avere figli in Italia negli anni 2000', che approfondisce le indagini campionarie svolte periodicamente.
Questo indicatore nel 2012 supera di quattro punti percentuali quello del 2005 ed è in controtendenza rispetto alla diminuzione registrata tra l'edizione 2000 (20%) e il 2005 (18%). In sostanza l’Italia sta tornando indietro per quanto riguarda il diritto delle madri al lavoro.
Esistono evidentemente delle forti differenze territoriali. Risiedere al Nord o al Centro comporta un minor rischio, mentre le madri del Sud risultano decisamente più svantaggiate, soprattutto se sono al primo figlio: il 33,9% circa due anni dopo la nascita del figlio non ha più un'occupazione, contro il 16,3% nel Nord-ovest. Più della metà ha dichiarato di non lavorare più perché‚ si è licenziata o ha interrotto l'attività che svolgeva come autonoma (52,5%); quasi una su quattro ha subito il licenziamento, mentre per una su cinque si è concluso un contratto di lavoro o una consulenza; il 3,6% dichiara di essere stata posta in mobilità.
Emerge una situazione eterogenea in relazione al numero di figli; sono prevalentemente le madri al secondo figlio quelle che lasciano il lavoro (55,5%) mentre sono prevalentemente le primipare quelle che hanno subito un licenziamento (25%) o che dichiarano che si è concluso il contratto a tempo determinato (23,3%).
Le madri lavoratrici a chi affidano i figli? La maggior parte di madri di bambini piccoli si rivolge alla famiglia: il 51,4 per cento dei nati al di sotto dei due anni è accudito dai nonni; mentre il 37,8 per cento frequenta un asilo nido; la baby sitter viene scelta come modalità di affido prevalente solo nel 4,2 per cento dei casi.