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Difficile trovare qualcosa di più odioso: il mobbing verso le donne in maternità. Eppure è un fenomeno in aumento: negli ultimi cinque anni, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale mobbing, nel nostro paese questi casi sono aumentati del 30 per cento. E negli ultimi due anni sono state discriminate, e molto spesso costrette a dimettersi, ben 350 mila donne, considerate poco produttive proprio perché in gravidanza o appena divenute madri. Donne che solitamente subiscono in silenzio e molto di rado trovano il coraggio, ma anche la resistenza psicologica (ed economica), di denunciare e affrontare cause che, perlopiù, vedono la vittoria delle aziende.
Un fenomeno, ovviamente, non solo italiano. Nel Regno Unito, ad esempio, è molto diffuso: 60 mila donne ogni anno sono costrette a lasciare il lavoro a causa della gravidanza (cui andrebbero sommate, ma non ci sono cifre ufficiali al riguardo, quelle demansionate o non promosse, e tutte le lavoratrici autonome). Diffuso al punto che è nato un blog online, intitolato “Pregnant then Screwed” (Incinte e poi fregate), che in breve tempo ha raggiunto uno straordinario successo. Fondato da Joeli Brearley, una giovane project manager che ha vissuto in prima persona un’esperienza del genere (nel momento in cui ha rivelato ai suoi clienti di essere in attesa si è vista cancellare tutti i suoi contratti in essere), il blog raccoglie le storie, scritte in forma anonima, di lavoratrici discriminate mentre erano incinte o dopo aver avuto un bambino.
Il blog è letteralmente inondato di storie (se ne pubblicano non meno di 3-4 al giorno), e la lettura è una sorta di campionario delle discriminazioni. C’è la lavoratrice che scopre di essere incinta nel dicembre 2010: prima le viene consigliato di abortire, poi viene relegata in un angolo, infine, mentre è in congedo, viene direttamente licenziata. Un’altra, lavoratrice a progetto che aveva centrato tutti gli obiettivi imposti dal suo contratto, nel momento in cui rivela la gravidanza viene caricata di nuovo lavoro e rimproverata di essere una scansafatiche: il forte stress le provoca un esaurimento nervoso, a quel punto viene licenziata. A una responsabile della lingua inglese in una scuola, impiegata da 11 anni in quell’istituto, è stato imposto di accettare un demansionamento, mentre una tirocinante medico senior in ambito universitario, avvisata dal suo superiore di non rimanere incinta, nel momento della seconda gravidanza è stata vittima di episodi di molestie e continui pettegolezzi, tuttora in corso, che la stanno spingendo alle dimissioni.
Storie terribili, dove le donne sono oggetto di vessazioni, umiliazioni e ingiustizie. Tornando in Italia, l’Osservatorio nazionale mobbing segnala anche che quattro madri su dieci vengono costrette a dare le dimissioni per effetto del “mobbing post partum”: un fenomeno più accentuato nel Mezzogiorno e nelle metropoli come Milano e Roma. Ed è dei giorni scorsi la denuncia lanciata dall’Osservatorio per quanto riguarda Bologna: in ambito provinciale sono 926 le donne che nell’ultimo anno sono state “invitate” a dimettersi per colpa di atti persecutori. Un numero che, seppur già alto, è ovviamente in difetto, nascondendo una realtà che solo la tutela dell’anonimato, come è appunto per il blog inglese, mostra in tutta la sua pienezza.