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Quest’anno l’Olimpo dei ricchi ha spalancato le sue porte a 290 nuovi membri, arrivando così ad accogliere un totale di ben 1.826 miliardari. A riportare questa cifra record è la rivista statunitense Forbes, che per il ventinovesimo anno consecutivo ha stilato la classifica degli individui e delle famiglie con maggior patrimonio al mondo. Forbes annovera tra i miliardari del globo coloro che, al momento in cui la classifica viene redatta, posseggono una ricchezza netta di almeno un miliardo di dollari. E se gran parte della popolazione dopo la crisi ancora arranca, i miliardari di Forbes sembrano invece essersela cavata alla grande, con una ricchezza totale netta di oltre 7.000 miliardi di dollari, 650 miliardi in più rispetto al 2014.
La soglia di un miliardo di dollari utilizzata da Forbes per decidere chi sono i paperoni mondiali è ovviamente arbitraria. Diverse sono state le proposte avanzate per definire con chiarezza chi, in effetti, sono i ricchi da patrimonio o, in questo caso, i miliardari; una tra tante è quella di Tony Atkinson (in “Concentration Among the Rich”, Unu-Wider research paper n.2006/151, 2006), che definisce “mega ricco” chi possiede un patrimonio superiore a 30x30x30 volte il reddito medio del proprio paese (per l’Italia la cifra ammonterebbe, in effetti, a poco meno di un miliardo di dollari).
Scorrendo velocemente la lista di Forbes viene da interrogarsi sull’origine di queste sconfinate ricchezze
Scorrendo velocemente la lista di Forbes viene da interrogarsi sull’origine di queste sconfinate ricchezze: sono frutto di innato talento e straordinario impegno, di lasciti ereditari non meritati, oppure, ancora peggio, sono nate da situazioni di privilegio, non sempre limpide? Al primo posto della classifica troviamo, non con troppa sorpresa, Bill Gates, fondatore di Microsoft, salito sul gradino più elevato del podio per ben 16 volte negli ultimi 20 anni. La sua ricchezza è generalmente ritenuta “meritata”, poiché frutto di abilità e intuito fuori dal comune. Al secondo posto troviamo il magnate messicano delle telecomunicazioni Carlos Slim Helu, con un patrimonio valutato in 77,1 miliardi di dollari, che molti pensano sia stato accumulato anche grazie ad amicizie vantaggiose con esponenti politici.
Anche Forbes ha iniziato a interrogarsi circa l’origine di questi immensi patrimoni. Dal 2014 ha introdotto un indice, il self-made score
Anche Forbes ha iniziato a interrogarsi circa l’origine di questi immensi patrimoni. Dal 2014 ha introdotto un indice, il self-made score, con l’obiettivo di valutare chi la ricchezza se l’è creata “con le proprie mani” e chi invece ha ereditato tutto o buona parte del suo patrimonio. Il valore dell’indice varia tra 0 e 1, dove 1 indica una ricchezza completamente ereditata; dunque, un mero dono della fortuna, mentre 10 è attribuito a chi, nato completamente squattrinato, nel corso della vita ha raggiunto ricchezza e successo solo grazie ai propri sforzi. Il self-made score, tuttavia, non fornisce informazioni esaurienti sul processo che ha portato alla formazione di tali ricchezze; non sappiamo quanta parte derivi dall’attività imprenditoriale, quanta da quella lavorativa, da rendite o, ancora peggio, da privilegi che possono anche sfociare nell’illegalità (basti pensare alla parabola di Belfort narrata da Martin Scorsese nel suo film “The Wolf of Wall Street”).
Un punteggio di 10 è stato assegnato, per esempio, a George Soros (n. 29 nella classifica mondiale), che – oltre a essere sopravvissuto all’occupazione nazista dell’Ungheria – si è pagato gli studi alla London School of Economics con i lavori più umili e disparati. Christy Walton, che si aggiudica la posizione numero 8 della classifica, ha invece avuto solo la fortuna di ereditare il patrimonio del defunto marito, senza essersi minimamente impegnata per incrementarlo, ottenendo per questo un self-made score pari a 1. Considerando solo i 400 americani più ricchi, se nel 1987 meno della metà dei miliardari erano “self-made”, oggi il 69% risulta essersi creato da solo le proprie fortune.
Per quel che riguarda la classifica mondiale del 2015, 1.191 membri della lista possono considerarsi miliardi “self-made”, mentre “appena” 230 hanno interamente ereditato la loro ricchezza. Kaplan e Rauh (in Journal of Economic Perspectives, 2013) hanno analizzato le liste dei miliardari di Forbes, concludendo che negli ultimi anni il peso dell’eredità si è effettivamente indebolito, mentre è aumentata la quota di coloro che provengono da famiglie poco o per nulla ricche.
Se andiamo a guardare i miliardari nostrani, al primo posto c’è la vedova di Michele Ferrero, Maria Franca Fissolo (32° posto nella classifica mondiale con un patrimonio di 23,4 miliardi), seguita dal patron di Luxottica Leonardo del Vecchio, con 21,6 miliardi (40° nella classifica globale). Sebbene ai miliardari italiani il self-made score non sia ancora stato assegnato, Forbes ritiene Leonardo del Vecchio il “self-made man” italiano più ricco, in quanto, nonostante l’infanzia passata in orfanotrofio, è riuscito a fondare un impero economico. Non solo. Quest’anno è stato registrato anche un altro record: secondo Forbes, 46 dei più ricchi al mondo hanno un’età inferiore ai 40 anni. A capo di questa schiera di giovani miliardari c’è Mark Zuckerberg, con un patrimonio di 33,4 miliardi di dollari, mentre il più giovane tra i giovani è il ventiquattrenne Evan Spiegel, con un patrimonio di 1,5 miliardi, anche lui considerato da Forbes un miliardario “self-made”.
Kaplan e Rauh mostrano anche come nel corso degli anni, tra i miliardari di Forbes, il livello d’istruzione abbia acquisito importanza crescente. La quota di miliardari americani con un diploma universitario è cresciuta dal 77 all’87% tra il 1982 e il 2011. È cresciuta, dal 6 all’8%, anche la quota di coloro che hanno abbandonato l’università in corso d’opera, come Bill Gates e Mark Zuckerberg (è doveroso sottolineare che, sebbene per un breve periodo, hanno comunque frequentato una delle più prestigiose università americane). Allo stesso tempo, la quota di chi ha raggiunto la ricchezza senza aver mai frequentato l’università è scesa dal 17 al 5%. Bisognerebbe tuttavia capire in che proporzione questi guadagni derivino dall’aver raggiunto elevati gradi d’istruzione e quanto, invece, dipendano dai network privilegiati in cui i nostri miliardari sono stati inseriti frequentando università prestigiose.
In conclusione, anche se queste immense ricchezze indicassero che il “sogno americano” non è così morto, come invece risulta da altri dati (in particolare quelli sulla trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze), bisognerebbe domandarsi, senza essere mossi dal pregiudizio o dall’invidia, se esse possano comunque costituire un problema per la società, sia per le conseguenze che determinano, sia per il modo nel quale i “self-made men” sono riusciti a entrare nell’Olimpo dei super-ricchi.
* Dottoranda in Studi socio-economici e statistici alla Sapienza Università di Roma
** Dottorando in Economia e Finanza alla Sapienza Università di Roma