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“L’aumento dello spread dell’ultima settimana ci costerà 144 milioni in più ogni anno di interessi sul debito, per la durata decennale dei titoli, i cosiddetti Btp, che sono stati venduti. Soldi che alla fine pagheranno lavoratori e pensionati, sotto forma di nuove tasse o con ulteriori tagli ai servizi pubblici”. È quanto ha affermato oggi Riccardo Sanna, coordinatore Area politiche di sviluppo Cgil nazionale, ai microfoni di RadioArticolo1.
L’innalzamento dello spread si traduce in una sorta di tassa occulta che tocca gli italiani che pagano le tasse. In pratica, è una tassa alla rovescia. "Sempre che si decida di mantenere quel famigerato pareggio di bilancio, di generare quell’avanzo primario, che comporta più entrate, più spese, più interessi così alti. Al contrario, dovremmo rilanciare l’economia in modo assai più imponente per ridurre il rapporto fra debito e Pil, che è quello che lo rende davvero sostenibile: ricordiamoci che un rapporto ben più alto del nostro ce l’hanno Stati Uniti e Cina. Solo che loro hanno avuto un approccio ‘rooselveltiano’ per uscire dalla crisi e noi ancora no. Questa è la vera differenza! Dobbiamo intervenire sulle entrate, senza spremere ulteriormente lavoratori e pensionati, ma mettendo una patrimoniale sui grandi patrimoni immobiliari e mobiliari, oppure attraverso un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, Insomma - partendo dall’evasione fiscale -, andando a prendere tutto quello stock di ricchezza improduttiva che ha generato il nostro abnorme debito pubblico di oltre 2.300 miliardi: quella è la vera anomalia italiana”, ha sostenuto il dirigente sindacale.
“Crescendo l’instabilità, è normale che le agenzie di rating minaccino di abbassare la valutazione dell’Italia: non sono altro che le figlie di un sistema finanziario fin troppo libero, e possono sfiduciare. All’inizio della crisi, Susanna Camusso aveva chiesto che venisse creata un’agenzia di rating europea e pubblica, perché quelle attuali sono quasi tutte statunitensi e private, magari con interessi finanziari in gioco, e sfruttano l’andamento dello spread, perché noi siamo deboli sul versante del tasso di crescita del Pil, della produttività, dell’occupazione. Tesi confermata proprio ieri dall’Ocse, che ha sovrastimato la crescita del nostro Pil per il 2018. Del resto, la sostenibilità dei conti pubblici si misura in ragione di un denominatore comune che si chiama prodotto interno lordo, e allora è lì che bisogna scegliere una strategia che risolva la sostenibilità del debito: ad esempio, aumentare i salari e creare lavoro abbattono il debito ed è una soluzione di sinistra, non populista. Dunque, se lo spread sale e si moltiplicano gli attacchi speculativi sul nostro Paese è perchè è in atto una crisi di fiducia sui mercati esteri, che in realtà si traduce in una crisi di aspettative che viene dal’interno. Non a caso, è dal 2011 - quando lo spread arrivò a toccare quota 600 -, che facciamo la stessa politica economica. E anche i paesi dell’Unione non si sentono europei, perché c’è un sovranismo in atto e non si fa una politica dell’Ue con certezze su investimenti, creazione di posti di lavoro e redditi”, ha continuato il sindacalista.
La crisi di fiducia, come ha documentato anche l’Istat, la pagano un po’ tutti, ma soprattutto le famiglie italiane, oltre naturalmente banche e fondi d’investimento, che sono attori centrali del sistema, avendo in mano il nostro debito; la loro mancanza di liquidità si ripercuote su prestiti e mutui da erogare. "Anche lì, se l’economia viaggia a un ritmo sostenuto, l’istituto di credito non ha problemi a pagare un punto in più o in meno d’interesse su mutui e prestiti. Se invece l’economia si blocca, come avviene da tempo, a cascata un po’ di soldi rischiamo di perderli pure noi. Salvini e Di Maio ipotizzano con il piano B di uscire dall’euro, immaginando di non rendere solvibile una parte del debito? Questo non è mai accaduto e non accadrà mai, perché abbiamo garanzie importanti, come lo stock enorme di ricchezza che impedirà sempre e comunque una bancarotta sul ‘modello greco’. Non solo. Un’uscita dall’euro comporterebbe automaticamente una svalutazione della nostra moneta, accompagnata da una riduzione dei salari e da un ricalcolo delle pensioni, causando gravi danni a lavoratori e pensionati. La verità è che per migliorare le cose, basta cambiare la politica economica del nostro Paese, che ha enormi margini di spesa e d’investimento per essere in grado di giocare un ruolo da protagonista in un’Europa dei popoli, non più dei tecnici!”, ha concluso Sanna.