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“Propaganda contro lo Stato”. Con questa accusa è stato diramato dalle autorità iraniane un ordine di incarcerazione per Mohammad Rasoulof, il regista che ha appena vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino con There Is No Evil. La magistratura aveva già emesso una sentenza contro il cineasta nel 2019, condannandolo a un anno di prigione con un divieto per due anni di esercitare la sua professione. La sentenza non era ancora stata eseguita. Il 4 marzo il giudice della Corte d'appello di Teheran ha confermato il giudizio, disponendo l'inizio del periodo di detenzione.
Dall'anno scorso Rasoulof non può lasciare il Paese. Per questo il 29 febbraio, alla cerimonia di consegna dell'Orso d'oro, non si è potuto presentare nella sede di Potsdamer Platz per ritirare la statuetta. Lo ha fatto al suo posto un'attrice del film, Jila Shahi, che ha dichiarato dal palco: “Siamo molto felici del premio, ma tristissimi che Mohammad non possa essere qui perché non può lasciare l'Iran”. Nella conferenza stampa che ha seguito la premiazione, poi, Rasoulof è intervenuto in videochiamata raggiunto dai produttori, parlando senza mezzi termini: “Il mio è un film su come sfuggire ai compiti imposti da un regime – ha detto –, su come ognuno può assumersi le proprie responsabilità”. Non è escluso che l'esposizione mediatica della vittoria abbia prodotto un'accelerazione nelle autorità di Teheran, che pochi giorni dopo hanno colpito.
Dura la reazione della Berlinale. Il festival ha diffuso una nota che condanna la decisione con forza, chiedendo la libertà immediata del regista. “La Berlinale è impegnata nella tutela della libertà di espressione e nella libertà dell'arte – si legge –, pertanto contesta la pena detentiva contro il cineasta”. I responsabili della Berlinale, Mariette Rissenbeek e Carlo Chatrian, hanno poi aggiunto: “Siamo fortemente preoccupati per Rasoulof. È scioccante che un regista sia punito così duramente per il suo lavoro. Ci auguriamo che le autorità iraniane rivedano presto il giudizio”.
La solidarietà verso il regista è arrivata da tutto il mondo del cinema. A firmare un appello per la liberazione, oltre ai tedeschi, tra gli altri ci sono il Festival di Cannes, il Rotterdam Film Festival e per l'Italia l'Accademia del David di Donatello. Tanti registi hanno parlato in prima persona come Wim Wenders, presidente dell'European Film Academy: “Il nostro collega Mohammad Rasoulof è un artista che continua a raccontarci una realtà che altrimenti non conosceremmo. Abbiamo bisogno di voci come la sua, che difendono i diritti umani, la libertà e la dignità”.
L'Orso d'oro There Is No Evil racconta proprio il regime iraniano. Il regista costruisce quattro storie, apparentemente slegate tra loro che alla fine formano un disegno complessivo, ovvero l'affresco di una dittatura e della sua “abitudine” alla pena di morte. Tra i personaggi c'è un uomo con una vita e una famiglia normale, che all'insaputa di tutti per lavoro fa l'esecutore pagato dallo Stato; un prigioniero politico che cerca di fuggire dalla detenzione per raggiungere la sua amata; un giovane soldato che è costretto ad eseguire gli ordini come eliminare i dissidenti... E così via. Attraverso singoli episodi, dunque, l'opera racconta la realtà iraniana come raramente si vede al cinema: in modo frontale e diretto, senza fronzoli o metafore, prendendo di petto il tema della repressione. Uscirà anche in Italia, è stato acquistato dalla distribuzione Satine: lo vedremo, speriamo, quando le sale riapriranno dopo l'emergenza Coronavirus. Tutto il lavoro di Rasoulof è teso a denunciare il regime, già dai titoli precedenti Manuscripts Don't Burn e Lerd.
Il pugno duro contro i registi non è una novità in Iran. La vicenda di Rasoulof ricorda quella di Jafar Panahi: un altro cineasta celebrato a livello internazionale, che fu arrestato nel 2010 e condannato a 6 anni di reclusione con il divieto per 20 anni di dirigere e viaggiare. Panahi ha quindi iniziato a girare i suoi film in clandestinità, recapitandoli ai festival spesso su pennetta Usb, come nel caso di Taxi Teheran che ha vinto l'Orso d'oro nel 2015. Proprio in quel film recitava l'avvocato dei diritti umani Nasrin Sotoudeh, condannata a 38 anni di carcere e 148 frustate, sempre per “propaganda contro lo Stato”. Un ulteriore segnale di una battaglia lunga e difficile da vincere.
Il nostro video dalla Berlinale