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Nella riforma scolastica del governo Renzi a suscitare le polemiche più aspre sono i poteri concessi al preside nella selezione e negli incentivi per gli insegnanti. Senza nulla togliere a questi temi, per approfondire di cosa ha oggi bisogno un paese europeo come l’Italia sono altrettanto centrali la proposta del 5xmille a favore di istituti scolastici pubblici (il cui stralcio non cambia la sostanza) e il credito d’imposta per le donazioni liberali a istituti vari (a scelta del singolo), ma soprattutto a beneficio di quelli parificati. In ambedue i casi, in sostanza, lo Stato pone risorse a disposizione dei singoli affinché essi premino l’offerta scolastica ritenuta valida o comunque meritevole di supporto. Certo, è potenzialmente positivo che siano ora incluse “le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione tra le finalità previste per la destinazione della quota del cinque per mille”. Ed è anche vero che a suscitare il contributo potrebbe essere, con il fine di migliorarlo, anche lo stato deficitario di alcuni istituti. Ma si tratta di un’eventualità filantropica assai flebile e incongrua. Se ne uscirebbe soltanto ampliando di molto quel 10-20% che dovrebbe andare al fondo perequativo presente nel decreto. Solo così dalla totalità dei fondi raccolti con bonus e 5xmille potrebbe discendere un vantaggio relativo netto proprio per le scuole più svantaggiate. Senza di ciò, il potenziale di diseguaglianza formativa di queste innovazioni rimarrebbe inaccettabile.
Ma forse più fondamentale ancora è che con misure così concepite si tende verso la surrettizia sperimentazione di un regime di “voucher premiale”, per cui i singoli finanziano le scuole ritenute migliori con risorse poste a disposizione dallo Stato. Un regime che ha abbondantemente fallito altrove. Per chi studia questi temi sono indicativi due dati. Il primo è che nel ddl governativo la locuzione “credito d’imposta” si alterna a quella di “bonus scolastico”, cioè proprio l’espressione utilizzata dalla letteratura scientifica e politica favorevole a norme simili. La seconda è ovviamente l’ideologia di molti esponenti del governo, a partire dalla ministra Giannini, secondo la quale tutto si risolve introducendo nelle istituzioni del welfare criteri analoghi ai segnali di mercato di domanda e offerta. Infatti, mettendo in fila logicamente gli elementi fondamentali del ddl, da una parte la valutazione pubblica degli insegnanti e dall’altra l’attuale concezione di 5xmille e “bonus scolastico”, emerge una logica per cui, almeno tendenzialmente o sperimentalmente, i singoli genitori possono finanziare gli istituti capaci di premiare e/o attrarre gli insegnanti pubblicamente designati come più validi.
Tuttavia esperienze improntate a questi principi hanno fallito miseramente. Fra tutte spicca quella svedese (qui una descrizione), in cui vige la possibilità di scegliere fra scuole pubbliche e private, usando liberamente un “bonus” messo a disposizione dallo Stato. L’iniziativa fu intrapresa nel 1991 da un governo socialdemocratico. Si credeva che, in un contesto di elevatissima eguaglianza già acquisita, aprire spazi all‘iniziativa privata nell‘offerta scolastica avrebbe incrementato la pluralità del diritto all‘istruzione, elevandone la qualità. I risultati sono stati però assai negativi. Importanti organismi d’indagine specifici (come lo Skolverket) certificano che gli studenti svedesi sono in impressionante picchiata nei test Pisa: nella comprensione dei testi la Svezia nel 2000 era al vertice dei 66 Stati presi in esame, mentre ora è intorno alla media. Inoltre, la percentuale di studenti che superano soltanto il livello più basso del test è aumentata (dal 13 al 18%), mentre quella al livello più elevato è scesa dall’11 al 9%. Peggiorano così sia gli alunni cresciuti in famiglie con elevati titoli di studio, sia quelli meno “performanti”. Questi ultimi però peggiorano molto di più: insomma, nel degrado generale, aumentano le disuguaglianze e dunque fallisce in modo clamoroso proprio quel “welfare delle opportunità“ che si intendeva perfezionare con l‘interazione fra domanda libera dotata di voucher e offerta libera di istruzione (sia pubblica sia privata).
Si è rivelato infondato l’assioma che il sistema dei voucher consentisse alle famiglie di orientarsi verso l’offerta qualitativa migliore. Infatti, la capacità di informarsi e di trasportare i figli verso scuole migliori sono limitate da preesistenti disuguaglianze, perfino in Svezia. Questo è tanto più vero negli ultimi decenni, con l’aumento internazionale generalizzato delle disuguaglianze. Per quanto meno che in Italia, Germania o nei paesi anglosassoni, anche in Svezia la quota dei salari non tiene dietro a quella dei profitti. Specie negli anni (2006-2014) del governo liberal-conservatore. Una vera società della conoscenza si basa insomma non sul genio imprenditoriale sregolato, ma sulla pianificazione dell’innovazione, nonché su condizioni (di reddito e di istruzione) offerte a tutti secondo un principio di tendenziale eguaglianza.
Da questo, in Scandinavia, proviene la maggiore mobilità sociale al mondo, che però, nonostante la forte tradizione nordica di eguaglianza, regimi economici internazionali regressivi e riforme scolastiche fallimentari pongono in forte pericolo. Per questo l’attuale governo socialdemocratico di Stoccolma sta invertendo la marcia sotto lo stimolo critico del sindacato Lo. Valorizzare la professionalità dei docenti e le competenze degli studenti è un fine centrale nella cooperazione fra i paesi nordici che (a partire dall’esempio finlandese) stanno ricercando le politiche e le pratiche più giuste. Temi su cui in seguito. Intanto, meglio non imitare quelle più sbagliate.