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Nel novembre 2014 l'Inca, il patronato della Cgil, aveva trasmesso una denuncia formale alla Commissione europea contro il Belgio. L’accusa era quella di aver violato gli articoli 7 e 14 della Direttiva 2004/38 sul diritto di soggiorno dei cittadini Ue e degli articoli 4 e 61 del Regolamento 883/2004 sul coordinamento della sicurezza sociale. La denuncia formale dell’Inca è stata sottoscritta oltre che dalla presidente del patronato della Cgil Morena Piccinini, anche dal segretario federale del sindacato belga Fgtb Jean-François Tamellini, da Anthony Valcke di Eu Rights Clinic (una rete europea di giuristi che si batte per i diritti di cittadinanza) e da Ariane Hassid, Presidente di Bruxelles Laïque (una delle più grandi e combattive associazioni belghe per la difesa delle libertà). Pochi giorni dopo la denuncia è arrivata anche l’interpellanza degli eurodeputati verdi Philippe Lambert e Monica Frassoni.
"Tanto la nostra denuncia quanto l’interpellanza del Parlamento europeo - spiega Morena Piccinini - prendono spunto dal caso di un lavoratore italiano in Belgio, che si è rivolto ai nostri uffici perché colpito da un ordine di espulsione dopo essere rimasto involontariamente disoccupato. Il nostro assistito ha lavorato 23 anni in Italia come operaio specializzato. Come molti altri durante la crisi, ha perso il lavoro quando il suo datore ha dichiarato fallimento, e ha quindi cercato, e trovato, una nuova occupazione in Belgio. Ma anche qui, la ditta ha chiuso i battenti dopo solo 8 mesi”.
“Sulla base del Regolamento europeo 883/2004 e della legge belga sulla disoccupazione – aggiunge Piccinini -, il nostro assistito ha tutti i requisiti per beneficiare dell’indennità di disoccupazione, potendo contare su 23 anni di contributi versati in Italia e 8 mesi di lavoro regolare in Belgio. Ma con un’interpretazione pretestuosa della Direttiva 2004/38 (art. 7.3), viene espulso neanche sei mesi dopo, perché secondo lo Stato belga il suo lungo periodo di inattività, soltanto 5 mesi, dimostrerebbe l’impossibilità reale di trovare un lavoro. In conseguenza del provvedimento di espulsione il lavoratore europeo è stato costretto a rientrare in Italia, disoccupato e senza alcuna indennità di disoccupazione”.
E non si tratta di un caso isolato. Il fenomeno riguarda non soltanto i disoccupati, ma anche sistematicamente altre categorie di cittadini, come ad esempio i beneficiari di prestazioni sociali non contributive e, persino, lavoratori occupati. Tra il 2010 e il 2013 sono stati già espulsi dal Belgio oltre 7000 cittadini europei: il 10% dei quali italiani, mentre altri provengono soprattutto da Romania, Bulgaria, Spagna, Paesi Bassi e Francia. “Basandosi su un'interpretazione restrittiva e à la carte delle regole europee – precisa Piccinini -, le autorità belghe considerano tutti questi cittadini un onere eccessivo per il Paese. Il governo belga era stato per questo già messo in mora dalla Commissione europea nel 2013. Ciò nonostante il fenomeno è continuato. Anzi è cresciuto. Negli ultimi 4 anni le espulsioni di cittadini Ue sono aumentate infatti del 700%. I dati in nostro possesso, così come le dichiarazioni del governo belga di destra che ha annunciato politiche sempre più restrittive nei confronti dell’immigrazione, lasciano prevedere una crescita ulteriore delle espulsioni anche nel 2014/2015”.
Secondo la Presidente dell’Inca, “tutto questo sta avvenendo in barba alle norme europee che tutelano il diritto dei cittadini Ue, e delle loro famiglie, a soggiornare in qualsiasi altro Stato membro, norme che non possono essere ignorate da un paese per giunta fondatore dell'Unione europea”.
La direttiva europea sulla libera circolazione (2004/38) stabilisce tutta una serie di diritti conferiti ai cittadini dell’Ue, come ad esempio: il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro, senza altra condizione, per i “lavoratori” ; la conservazione del diritto anche per i disoccupati che abbiano lavorato almeno 12 mesi (7.3), e in ogni caso finché si continua a cercare un lavoro e si ha possibilità di trovarlo; il diritto all’assistenza sociale come i cittadini del paese ospitante, senza che questo comporti automaticamente la perdita del diritto di soggiorno (artt. 14.3 e 24).
Lo stesso coordinamento europeo dei sistemi di sicurezza sociale (reg. 883/2004) stabilisce, a sua volta, una serie di principi di diritto comunitario, il cui scopo è evitare appunto che il lavoratore migrante si trovi – sotto il profilo previdenziale - in una situazione sfavorevole per il solo fatto di aver lavorato in più Stati membri. Alla base, il principio della totalizzazione dei periodi, in virtù del quale, per fare un esempio, se si è lavorato in Italia e in Belgio, e in quest'ultimo si resta disoccupati, questo paese è obbligato a versare le prestazioni di disoccupazione tenendo conto - senza eccezioni e senza restrizioni - dei periodi di lavoro salariato maturati in entrambi gli Stati membri.
E’ sulla base di queste argomentazioni che la Commissione europea ha deciso di avviare una procedura contro il Belgio, pretendendo una risposta entro il 1 aprile. E questa è stata per l’Inca la buona notizia. Tuttavia, le autorità dello Stato belga hanno chiesto e ottenuto una proroga di 30 giorni (1 maggio quindi), per esaminare le conclusioni che l’Avvocatura generale della Corte di giustizia europea dovrebbe inviare nei prossimi giorni, nell’ambito della procedura in corso per un altro caso di espulsione avvenuto in Germania (causa C-67/14 Alimanovic).
Secondo l’Inca Cgil, questa proroga è pretestuosa, per non dire sospetta, poiché la causa Alimanovich riguarda un caso completamente diverso da quello sollevato dal patronato della Cgil. Si tratta, infatti, dell’espulsione di un cittadino - e dei suoi congiunti – entrato in Germania “al solo scopo di cercare un lavoro” e che in questo paese avrebbe potuto ottenere una una “prestazione sociale non contributiva, finalizzata a garantire la sussistenza e, allo stesso tempo, ad agevolare l’accesso al mercato del lavoro”.
Nulla a che vedere, quindi, con il caso sollevato dall’Inca Cgil, riguardante un lavoratore che ha fatto valere il prprio diritto alla libera circolazione in quanto titolare di un contratto di lavoro a durata indeterminata e che aveva aperto un diritto previdenziale, ossia assicurativo, in virtù dei contributi sociali versati in due diversi paesi dell’UE, Italia e Belgio. “Non c’è quindi da sedersi sugli allori – conclude Piccinini -. Di concerto con il sindacato belga Fgtb, l’Inca Cgil continuerà a tenere sotto osservazione questa palese violazione delle regole europee e a prestare l’assistenza giuridica necessaria ai cittadini italiani ingiustamente colpiti”.