Negli ultimi dati, diffusi da Istat e da Bankitalia, c'è un denominatore comune: "Bisogna interpretare i numeri nel modo più realistico possibile: entrambi parlano di una situazione di aumento delle diseguaglianze tra i cittadini italiani". Lo afferma il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, a RadioArticolo1 nel corso della trasmissione Italia Parla.

 

Nel Sud la disoccupazione è pari circa a tre volte quella del Nord. "Nessuna novità, purtroppo, rispetto ai dati meno recenti - spiega -. Oggi va di moda dire che la disoccupazione cala dello 0,5%: ma è altrettanto vero che il tasso resta sopra l'11%, anche quest'anno non si scenderà sotto il 10%, mentre nel 2008 eravamo intorno al 7%. Ecco dunque un altro e più corretto modo di leggere i dati: in Europa solo tre Paesi sono sopra il 10% come tasso di disoccupazione, Grecia, Spagna e Italia".

Il lavoro poi va giudicato anche in base alla sua qualità, prosegue Fammoni. "L'occupazione come numero di teste è in crescita, ma il numero va letto qualitativamente, non solo quantitativamente. Non crescono affatto le ore lavorate, anzi resta un grande gap rispetto al 2008. E soprattutto nella stragrande maggioranza è lavoro precario: tempo determinato, impiego breve o brevissimo, basti dire che la crescita maggiore riguarda i contratti che non superano i sei mesi".

Negli ultimi sei mesi su dieci assunti solo uno è a tempo indeterminato, o meglio con il contratto a tutele crescenti. Così Fammoni: "Nell'ultimo trimestre ci sono 12mila occupati in più, ovvero praticamente niente". Nel frattempo il Pil cresce, ma al di sotto della media europea: "L'aumento però non si traduce in occupazione di qualità. Allora forse bisogna interrogarsi sulla qualità di questo sviluppo: è evidente che, così com'è, il lavoro non riesce a rilanciare davvero la crescita. Da parte loro, le imprese immaginano l'impiego solo come contratti a termine, ovvero pensando al risparmio sui costi".

Fammoni commenta poi la ricerca di Bankitalia sulla ricchezza delle famiglie italiane: "Aumenta il reddito medio del 3,5%, quindi si dice che cresce la ricchezza - a suo avviso -: ma siamo ancora sotto dell'11% rispetto al 2006. E poi c'è una domanda di fondo: questo aumento del reddito riguarda tutti? Assolutamente no. Oggi il rischio di povertà è pari al 23%: questo significa che può diventare povera una famiglia italiana su quattro, è il dato maggiore che abbiamo mai avuto. Il lavoro dunque non è più in grado di diventare elemento di promozione sociale: troppo basso il reddito, nessuna certezza di ottenere e mantenere lavoro".

I dati si interpretano in modo parziale, ognuno per rafforzare le proprie tesi. La verità è un'altra: "C'è un grande problema nelle famiglie e cittadini italiani: un'incertezza sul futuro che diventa rabbia e malumore. Guardiamo le ultime elezioni politiche, a prescindere dai risultati, questo è stato evidente. La politica dei bonus è definitivamente fallita. Adesso serve una politica di carattere strutturale che guardi al futuro: occorrono investimenti produttivi, ma non sulla produttività del lavoro bensì sui fattori alla base, come l'innovazione, il trasporto e la logistica, l'energia. Questi sono i nodi strutturali su cui intervenire - conclude - per lanciare il messaggio che è possibile un futuro migliore".

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