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Il terremoto in Emilia ha portato nella mia vita disordine e ordine al contempo, esattamente come tre anni prima il sisma aquilano, fatto che mi indusse a spostarmi proprio a Modena. Evento simile al precedente in tutto e per tutto, ma stavolta vissuto da sola e per nulla intenzionata a ripetere la fuga. Infatti ho aspettato che la situazione si acquietasse e che mi riconciliassi con le pareti domestiche perché la mia dipartita a fine incarico non somigliasse ad un abbandono ma ad una semplice pausa estiva.
Ho trascorso le mie notti di giugno e le interminabili giornate di attesa, tra il camper e il giardino, accolta dai dirimpettai del pianerottolo che mi hanno presa in carico provvedendo ai miei pasti, alle mie necessità, senza che avessi chiesto nulla. È stato molto il tempo condiviso fatto di chiacchiere e pomeriggi assolati in giardino, di visite notturne di amici e colleghi, di pasti consumati insieme. Rapporti precedentemente formali messi tra parentesi, modalità di interazione scompaginata e consuetudini momentaneamente accantonate. Un cambio nello zaino, documenti più importanti, cartelle cliniche soprattutto, e un portatile al seguito, ciò da cui non mi sono mai separata.
Una sera la sig.ra Pamela, colei che ha sempre fatto gli onori di casa o meglio, di camper, nella cui famiglia mi sono ritrovata assimilata, si è coraggiosamente offerta di varcare la soglia del palazzo per entrare negli appartamenti degli altri condomini con le scosse in corso e recuperare un oggetto per ogni famiglia di cui avessimo bisogno o che semplicemente avesse importanza per noi.
Ha raccolto le chiavi dei singoli portoni, sorridente, soddisfatta, con l’espressione di chi è più felice di sacrificarsi per accontentare qualcuno piuttosto che fare qualcosa per sé. Ha chiesto a tutti cosa dovesse recuperare ma giunta a me non ho saputo darle una risposta.
«Sara, allora, dimmi pure, cosa vuoi che prenda per te?».
Vuoto totale.
«Possibile che non mi venga in mente niente? Non ho quasi nulla nello zaino e ho anche dei dubbi su cosa prendere?». E mentre mi chiedevo come mai non desiderassi niente in particolare e Pamela incalzava per incoraggiarmi «delle creme, un indumento particolare… pensaci. Una cosa importante, una, non di più perché non riuscirei a portare più di un oggetto per famiglia» , uno slancio, improvviso:
«Sì!!»
«Ah, finalmente!»
«So cosa voglio!»
«Dimmi pure allora»
«Le noccioline!!»
La signora sbalordita, «ma sei sicura? Le noccioline Sara?»
«Più che certa, non c’è altra cosa che potrei desiderare! Sono nel guscio, tostate, in una sacca rossa fluorescente, le ho prese la settimana scorsa quando ero dai miei a Pescara, sono andata ad una festa paesana domenica mattina solo per comprarle appena calde e portarle a Modena. Sapere di averle sul tavolo della cucina senza poterle mangiare mi rattrista un po’».
Calata la sera, tutti raccolti vicino al camper, siamo stati travolti dalle chiacchiere in compagnia degli altri condomini e dei miei colleghi di lavoro venuti a trovarmi, amici di prima e nuovi, post terremoto, tutti insieme, sdraiati sui lettini da mare attorno ad un tavolino sotto il tendone del camper. Sgusciata la prima nocciolina gli altri mi hanno seguita, uno dopo l’altro, in un flusso inarrestabile di racconti, risate, birra e spasmodica ricerca da parte di adulti e bambini di altre noccioline da sgusciare.
«Ma queste noccioline sono fantastiche» ha precisato il vicino del piano inferiore. E anche Pamela, concorde: «Hai fatto proprio bene Sara a chiedermi di prenderle, lo sai?».
Alle 12.50, sgusciata l’ultima nocciolina del sacchetto, il marito della signora Pamela, l’autorevole e rispettato capo banda ha aggiunto: «Signori, secondo me siamo il più bel gruppo di sfollati di Modena e vi vorrei fotografare per far vedere agli altri quello che vedo io; non delle famiglie ma una comunità, solare, efficiente, funzionante. In questi giorni ci siamo conosciuti, abbiamo riso, abbiamo avuto paura, abbiamo dormito insieme, condiviso spazi piccolissimi, siamo diventati amici. Lo so, la circostanza è triste, ma posso dirlo? Io sono contento del nostro stare assieme e felice di questo momento. Guardatevi. Adesso, proprio ora, e poi, Sara, senza le noccioline questo momento non sarebbe stato così straordinario».
Anche per me è stato lo stesso. Ci siamo specchiati l’uno nell’altro così come eravamo; spettinati, struccati, malandati e spaventati e ci siamo piaciuti molto più che nelle normali occasioni, durante i fugaci incontri sul pianerottolo. Pentiti di aver lasciato sempre quei portoni chiusi a proteggere noi e le nostre cose da quello che c’era fuori e di aver creduto che una nocciolina fosse solo un’arachide in un baccello. Sarà per questo che una volta rientrati nel palazzo e lasciato il camper abbiamo deciso di lasciare i portoni aperti come se le maniglie si tendessero la mano fino a fare delle nostre case un unico grande camper in mattoni.
*Unsolomondo Cgil Modena