Dopo quattordici anni di battaglie legali, grazie all’intervento dell’Inca, si è conclusa positivamente, con un accordo extragiudiziario, la vicenda di Mario Barbieri, l’operaio morto nel 2006 per asbestosi polmonare, dopo 20 anni di lavoro nei Nuovi Cantieri Apuania di Carrara. Alla vedova di 75 anni, è stato riconosciuto il diritto alla rendita ai superstiti e il pagamento dei relativi arretrati, a partire dalla data di decesso (2006). Un esito per nulla scontato, considerando il tormentato percorso giudiziario che ha accompagnato la vicenda.

In tutto, ci sono volute quattro sentenze con esiti diversi, addirittura contraddittori, che hanno visto contrapposte da un lato la famiglia Barbieri, che chiedeva il riconoscimento pieno dell’origine professionale della malattia, e dall’altro l’Inail, che dopo essere stata condannata in prima istanza a pagare la relativa rendita all’operaio, ha ottenuto due sentenze favorevoli, in virtù delle quali ha chiesto ai familiari la restituzione delle somme percepite, pari a oltre 65 mila euro. “Un rompicapo di sentenze e contro sentenze – commenta Silvino Candeloro, del collegio di Presidenza Inca – che purtroppo riflette un orientamento giurisprudenziale non sempre coerente, soprattutto su materie come quella delle malattie professionali, per le quali sarebbe utile e necessario anche un più adeguato livello di competenze degli stessi magistrati. Con la conseguenza che a pagare il prezzo più alto sono gli stessi lavoratori vittime e le loro famiglie”.

La vicenda comincia ancor prima della morte di Mario, che dopo essersi ammalato di asbestosi polmonare, fa regolare richiesta all’Inail di riconoscimento della malattia professionale; domanda che però viene respinta. Da qui la decisione di ricorrere alle vie legali. Nel 2006, il tribunale di La Spezia (sentenza n. 330), dopo aver esaminato la documentazione sanitaria e aver effettuato una Consulenza tecnica d’ufficio (Ctu), accoglie l’istanza dell’operaio con il riconoscimento di un’invalidità dell’80 per cento, da cui scaturisce l’obbligo a carico dell’Inail di pagare la relativa rendita, che viene così regolarmente percepita. Contro la sentenza di primo grado, però, l’istituto fa opposizione e ottiene un primo risultato. Con il pronunciamento del 6 giugno 2007, la Corte d’appello di Genova ribalta il giudizio di primo grado e afferma che non ci sono i presupposti per il riconoscimento della malattia professionale, a causa della specifica mansione svolta dall’operaio; gruista presso i Nuovi cantieri Apuania, perciò non “coinvolto nel processo di costruzione delle navi e di coibentazione degli impianti”.

Per la Corte d’appello “le sporadiche operazioni di caricamento a bordo di materiali con la presenza di amianto implica giudizio tecnico non esprimibile dai testi e comunque manca l’indicazione dei tempi e della frequenza di tali operazioni e della possibilità di rilascio di fibre respirabili”. Da qui la conclusione che “la mera possibilità di compatibilità della risultanza radiologica con la pneumoconiosi, in mancanza di prova certa di esposizione al rischio, induce a ritenere non provata la sussistenza di asbestosi”.

Una doccia fredda per gli eredi, che però non si arrendono. Il caso giunge fino in Cassazione, che l’11 giugno 2014 decide di rinviare nuovamente il fascicolo alla Corte d’appello di Genova. Nel frattempo, Mario Barbieri è già morto da 8 anni, senza veder conclusa la sua battaglia legale. L’ultima sentenza del 14 ottobre 2016 (n. 411) viene così modificata, con il riconoscimento parziale dell’origine professionale della malattia; ma per quanto riguarda l’invalidità, la percentuale viene ridotta dall’80 al 38%, di cui solo per asbestosi il 12%, soglia insufficiente per chiedere la tutela Inail. Passano due mesi e le conseguenze della sentenza si fanno sentire.

Nel dicembre scorso, l’Inail comunica agli eredi la richiesta di restituire i ratei già percepiti, con l’aggiunta dei relativi interessi maturati e la revoca definitiva della rendita ai superstiti. Nella prima lettera del 19 dicembre, l’ammontare del risarcimento richiesto è di 9.919 euro, pari alle somme già riscosse, con diffida al pagamento entro un mese. Ma non è la sola. Tre giorni dopo, il 22 dicembre, l’Inail invia a moglie e figli, eredi di Mario, un’altra nota ben più articolata, nella quale ricalcola la rendita sulla base della revisione al ribasso dell’invalidità riconosciuta (dall’80 al 38%) stabilita con l’ultima sentenza, chiedendo indietro 55.992 euro, diffidando anche in questo caso al pagamento entro trenta giorni.

Senza l’intervento del patronato della Cgil, la famiglia di Mario Barbieri avrebbe dovuto restituire 65.911 euro. Così non sarà. Con la scrittura privata sottoscritta tra Inail e familiari dell’operaio deceduto il 26 gennaio, fortemente sostenuta dall’Inca di Massa Carrara, l’istituto ha riconosciuto la rendita ai superstiti, in favore della vedova, accogliendo il presupposto, indicato dal patronato, che la malattia professionale da asbestosi di Mario, pur non rappresentando la sola causa del decesso, ha contribuito in modo significativo a determinarlo. Pertanto, il debito della famiglia nei confronti dell’Inail sarà ampiamente compensato dagli arretrati di 32 mila euro dovuti alla vedova e una rendita mensile di circa 800 euro, a partire da aprile.

“Si è trattato indubbiamente di un caso particolare – spiega Roberto Fioravanti, direttore Inca di Massa Carrara –, ma ciò non cancella l’evidenza delle malattie professionali, anche mortali, per esposizione ad amianto, che nei nuovi Cantieri Apuania rappresentano una realtà preoccupante: migliaia sono stati i lavoratori esposti, mentre secondo i dati epidemiologici il picco deve ancora venire. Lo stesso Inail ne è consapevole, tanto è vero che presta una particolare attenzione ai casi che noi gli sottoponiamo. Negli ultimi 10 anni sono aumentati i riconoscimenti del nesso causale, anche per eventi mortali”.

Un fatto importante per una provincia profondamente colpita dalle malattie correlate all’amianto, che hanno investito tante altre aziende, oltre a quella in cui lavorava Barbieri. Solo per citarne alcune, il direttore dell’Inca di Massa Carrara ricorda le migliaia di lavoratori degli ex stabilimenti Dalmine, Fibronit, Signani, Nuovo Pignone, Farmoplant; imprese dove a causa dell’amianto si sono ammalate decine di persone e alcune di loro sono decedute. “Il rischio, però, non appartiene solo al passato – sottolinea ancora Fioravanti –: è per questa ragione che alla giusta attività di richiesta di risarcimenti in favore dei lavoratori e dei loro familiari, chiediamo che si accompagni un impegno maggiore affinché venga svolta un’effettiva azione di sorveglianza sanitaria tra i lavoratori”.