La prova di forza sulla legge elettorale è uno di quei passaggi che caratterizzano una fase politica. Renzi ha affidato al destino, ovvero alla forza bruta, il compito di decidere se lui è solo una meteora o è il signore di un intero ciclo. Confidando nel silenzio assoluto del Quirinale, nell’assenza di ogni mobilitazione di piazza e d’opinione, nella venalità legata a una carica che induce a sopravvivere per il vitalizio, ha strapazzato le regole del gioco, ha usurpato il Parlamento, ha storpiato la minoranza del Pd.
Da una nebulosa indistinta, incapace di abbozzare una resistenza efficace, perché priva di un progetto, sono emersi 38 deputati, che possono costituire il nucleo di una svolta politica. Non basta più una pubblica dichiarazione di dissenso, un grido d’allarme sullo stato della democrazia, la partecipazione a un corteo di protesta. I 38 della sinistra del Pd devono fornire una lettura precisa del momento storico, e adottare le risoluzioni conseguenti alla diagnosi impietosa degli accadimenti.
Come dato di partenza, bisogna assumere che Renzi è il compimento del “nuovismo”. Con la sua scalata ostile, ha decretato il decesso del Pd, che in ossequio allo statista di Rignano non ascolta la voce di ex segretari ed ex presidenti. Di conseguenza, vista la metamorfosi in partito personale, ogni seria opposizione a Renzi deve ipotizzare la necessità di pensare a un percorso politico e organizzativo alternativo. Questa constatazione realistica obbliga a deporre tutte le facili illusioni su un’imminente rivincita congressuale.
Il Pd, come parvenza di un cantiere aperto per definire un partito di spessore europeo, non esiste più. È rimasto uno scolorito non-Partito della Nazione che, in prospettiva di un lungo monopolio del potere, in aula e nelle candidature per le regionali ospita ex missini, ex centristi, ex berlusconiani, ex montiani. Per questo, la sinistra Pd deve decidere se rassegnarsi a essere o meno l’ospite, alquanto irrilevante, di un caporale capriccioso che disegna una democrazia minore.
Come scriveva Tasso, “spesso avien che ne’ maggior perigli / sono i più audaci gli ottimi consigli”. Ecco, i 38 della sinistra Pd dovrebbero raccogliere, in questa incerta giuntura critica, i consigli “più audaci” come i rimedi più produttivi per il sistema politico. Tocca a loro riconquistare un’autonoma posizione strategica per la ricomposizione di una forza plurale della sinistra italiana, altrimenti il sentimento di odio che ricopre l’esecutivo nella fabbrica, nella scuola, nelle culture della Costituzione, cioè nelle antiche casematte della sinistra, si tramuterà in astensione di massa, in una disgustata fuga dalla politica.
Se la minoranza Pd si ritrae, e “nel troppo osar non ispera”, sarà travolta dalle macerie di un non-partito che dopo Migliore e Ichino arruolerà pure Bondi e Verdini quali custodi dell’ortodossia nella corte del “numero uno”. Uscendo allo scoperto, i 38 non determineranno una crisi al buio, perché il buio è già al potere con il volto di un Renzi che minaccia il mondo con la pistola scarica di un dannoso governo della narrazione che cavalca sogni cesaristici in uno scenario neotrasformista.
La sinistra del Pd non è più in tempo per fare come i giovani turchi, che per modus vivendi formulano qualche glossa marginale, e obbediscono anche su temi che concernono la cultura politica, la base sociale, il modello di partito, l’idea di Stato. Loro restano in attesa di ricomparire più arzilli sulla scena quando la stella di Rignano si sarà appassita e il mondo sarà riconoscente con chi, in questi anni, ha stampato le magliette con l’immagine di Togliatti. La sinistra Pd non ha scelto questa strada, che ha una sua logica, perché ha percepito che il governo populista immancabilmente andrà a sbattere.
Proprio per questo, per non essere travolti dalle macerie, occorre essere riconosciuti per tempo come un’alternativa politica. Gruppi autonomi alla Camera e al Senato sono non già delle trovate intempestive, ma delle mosse persino tardive rispetto alla fuga dalla politica di una vasta area di sinistra che si sente incompatibile con il caporalismo renziano. Senza più nulla da perdere, i 38 hanno tutto uno spazio politico da guadagnare alla sinistra.
La sfida di uno spazio strategico da guadagnare alla sinistra
Per non essere travolta dalle macerie, alla minoranza Pd occorre essere riconosciuta per tempo come un’alternativa. Gruppi autonomi a Camera e Senato sono non già delle trovate intempestive, ma delle mosse persino tardive DI MICHELE PROSPERO
4 maggio 2015 • 00:00