Con la “Mappatura delle piattaforme di sharing economy, Marta Maineri (collaboriamo.org) e Ivana Pais (Università Cattolica di Milano) verificano annualmente lo stato dell’arte in Italia delle attività della cosiddetta economia della condivisione, ovvero quelle attività di scambio di beni e servizi tra “pari” rese possibili da piattaforme digitali che operano come market place. Nel rapporto sul 2016, presentato a Sharitaly il 23 novembre dello scorso anno, vengono individuate 206 piattaforme, di cui la maggior parte (68) di crowdfunding (raccolta fondi online), in crescita del 10% rispetto al 2015.

Da quando esiste, l’informatica ha fatto ampio uso di piattaforme, indicando con questo termine prima la struttura hardware, fisica, su cui si costruiscono e innestano le varie componenti periferiche di un computer, e successivamente la struttura software (a partire dal sistema operativo), che svolge la stessa funzione della prima, ma in versione digitale. Le piattaforme hanno la caratteristica di essere strutture-ospiti, ovvero luoghi di per sé “neutrali”, che abilitano funzionalità di altri elementi, tanto nel mondo fisico (telecamere, monitor, tastiere, lettori cd/dvd ecc.), quanto nel mondo digitale (per esempio, tutti i programmi che girano su Windows).

Negli ultimi 15 anni le piattaforme sono diventate sempre più la “base genetica”, nonché il riferimento concettuale e di significato di prodotti, servizi e organizzazioni. L’espansione del concetto-piattaforma è stato “tirato” dall’altrettanto veloce crescita del digitale interconnesso, o, in altri termini, della rete Internet. Nell’ultimo decennio il web ha visto nascere e svilupparsi piattaforme digitali che hanno permesso a soggetti fisicamente sparsi in ogni parte del globo di condividere dati, informazioni, programmi e prodotti.

Come ricordano McAfee e Brynjolfsson nel bellissimo libro da loro curatoLa nuova rivoluzione delle macchine” (Feltrinelli, 2015), gli “oggetti digitali” (foto, file, cartelle ecc.) hanno due caratteristiche che li rendono particolarmente adatti alla logica delle piattaforme web globali: innanzitutto, hanno un costo marginale di riproduzione pari a zero. Realizzare 100 copie un libro di carta comporta uno sforzo infinitamente superiore (energia, macchinari, tempo) rispetto alla realizzazione di 100 copie della sua versione e-book. La seconda caratteristica è la “non-rivalità”: un film in streaming può essere visto contemporaneamente da 2, 3, 300 o 3 mila soggetti senza che questo provochi il minimo problema. Sfruttando queste due qualità, e unendole alla capacità del web di connettere potenzialmente ogni computer della Terra, dal 2004 in poi abbiamo visto diffondersi due specifiche tipologie di piattaforma: i social networks da un alto e i market place digitali dall’altro.

Molta della retorica che ha guidato la nascita di queste piattaforme trova un punto identitario nell’assenza di organismi di intermediazione tra gli utenti. Il rapporto disintermediato tra pari viene così assunto a condizione strutturale di maggiore libertà, democraticità e trasparenza. Sono gli utenti che scelgono cosa condividere e quando, che cercano tra ciò che hanno condiviso altri, che selezionano, che esprimono il proprio parere (feedback), la cui aggregazione con il parere degli altri è il giudice della qualità, della verità e dei gusti.

Non solo. Nel mondo digitale, tenere traccia di ognuna di queste azioni (condivisione, ricerca, selezione, feedback, espressione di gradimento ecc.) è molto semplice, è poco costoso ed è facilmente accessibile. In quest’ottica, le piattaforme hanno aumentato la realtà fisica, offrendo un mondo di scambi umani, relazionali, informativi e indirettamente anche fisici (si pensi ai prodotti scambiati su eBay) in un modo più democratico di qualsiasi altro strumento finora utilizzato.

All’interno di questo scenario i solidi – per dirla à la Bauman – corpi intermedi (come le parti sociali, i partiti, i sindacati, le rappresentanze ecc.) sembrano destinati a estinguersi, lasciando spazio alla nuova generazione di piattaforme. Ma è proprio vero che le piattaforme sono strutturalmente disintermediate e i corpi intermedi strutturalmente non trasparenti (e quindi non democratici)? Possibile che non si possano sfruttare i benefici del digitale senza perdere la qualità, la profondità e la protezione che i corpi intermedi offrono alla società da oltre un secolo?

Nel 2016 la Cgil ha iniziato un percorso di riflessione, aggiornamento e azione concreta a partire dalla rilevazione di tre fenomeni: l’importanza dell’Ict digitale come General Purpose Technology, ovvero come tecnologia neutrale a larga diffusione che, come lo furono la macchina a vapore e il motore a scoppio, innesca cambiamenti rivoluzionari in ogni settore da esso toccati; la novità dei cambiamenti che ciò comporta in ambito produttivo e, conseguentemente, nell’organizzazione del lavoro tanto quanto nell’organizzazione sociale e civica delle persone; l’estendersi del concetto di piattaforma dalle relazioni (per esempio, Facebook) ai prodotti (vedi Iphone), dalle organizzazioni (per esempio, Pirates Party) ai mercati (AirBnB, Uber), fino alle forze “anti-sistema” (vedi Isis).

Questo percorso ha portato alla costituzione – sempre in ambito Cgil – di una Consulta sulle politiche industriali, stimolata da un Comitato scientifico di valutazione industriale e arricchita da una serie di strumenti e metodi per la valutazione e l’analisi, dalle policy pubbliche fino ai piani industriali delle singole imprese. Tanto nel Comitato quanto nella Consulta, la Cgil ha riunito personalità e competenze esterne alla confederazione e dunque autonome, connettendole alle proprio strutture (categorie e territori), con la finalità di allargare a una partecipazione qualificata. All’interno di questa logica, che mira alla prevenzione/previsione dei cambiamenti più che alla reazione ex post agli stessi, è stata subito evidente l’opportunità di creare una piattaforma digitale che potesse fungere da strumento e da luogo accogliente tutti gli scambi e le interazioni tra i soggetti coinvolti.

Da ultimo, lo scorso 10 maggio, la stessa Cgil ha lanciato Idea Diffusa, una piattaforma digitale che intende prendere il massimo delle potenzialità offerte dal digitale (rapporto fra pari, gestione remota delle informazioni, accessibilità ecc.) mettendole al servizio dell’azione di rappresentanza, di difesa dei lavoratori e di mediazione. Idea Diffusa permetterà in questo senso di raccogliere e scambiare documenti e informazioni, di lanciare approfondimenti specifici, di condividere un’agenda di lavoro, lasciando traccia delle discussioni e dei documenti in una forma che possa consentirne una facile ricerca da parte dei propri utenti.

Uno strumento di lavoro, ma anche un test sulla possibilità di aggiornare le modalità di lavoro del sindacato: per questo nasce come struttura interna, ma coinvolge da subito anche soggetti esterni. Un percorso che inizia con una piccola comunità, della quale si mette al servizio e da cui potrà raccogliere feedback e indicazioni per ulteriormente evolvere e allargarsi, dimostrando così che l’organismo che ha più chance di sopravvivere non è a prescindere il più forte, né il più nuovo, ma quello maggiormente capace di adattarsi.

Marco Tognetti è direttore di Lama Development and Cooperation Agency