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Sei terremoti devastanti negli ultimi 40 anni, e tanti crolli, tante morti: il caso non c’entra niente. A meno di non si considerare “caso” il fatto che una larghissima porzione del nostro territorio sia in zona sismica. Così come non può essere un caso che ogni volta a essere colpite dai terremoti siano anche le scuole, visto che il 54 per cento delle 42.000 sedi sorge in zone ad alto rischio. Se poi si aggiunge che solo l’8 per cento di esse sono state costruite o ristrutturate dopo il varo delle nuove e cogenti norme antisismiche del 2009, e che la verifica di vulnerabilità antisismica nelle scuole in zona 1 e 2 (quelle a più alta pericolosità) sono state appena il 26 per cento, allora possiamo stare sicuri: le nostre scuole continueranno a essere vulnerabilissime.
Nelle quattro regioni colpite dal terribile terremoto dello scorso 24 agosto, 400 sono state, seppur in proporzioni diverse, danneggiate. Il governo ha promesso che “tutto tornerà come prima”, ma visti i precedenti non c’è da essere ottimisti. Come si legge nel rapporto di Cittadinanzattiva pubblicato la scorsa settimana i terremoti di Molise (2002), Abruzzo (2009) ed Emilia Romagna (2012) “sono l’esempio dell’inadeguatezza delle strutture e della lentezza nelle fasi di ricostruzione: delle 1.041 scuole ispezionate dopo il sisma nelle città emiliane, 500 risultavano gravemente danneggiate. Per l’anno scolastico 2012-2013 vennero istallati 32 moduli ad uso scolastico provvisori (Musp), di cui l’ultimo è stato smantellato solo nel dicembre 2015. È andata peggio agli aquilani: 58 scuole e 6.300 alunni prima del sisma. Ad oggi solo 2.600 di quei ragazzi sono rientrati nelle 26 scuole riparate”.
Le risorse
In questo contesto così complesso, il governo rivendica stanziamenti e interventi: 4 miliardi di euro tra 2015 e 2016 e un altro miliardo e 700 milioni nella prossima legge di stabilità. Ma sull’utilizzo e l’effettivo impegno di queste risorse è difficile fare chiarezza. Nonostante nomi efficaci e fantasiosi – come #scuolebelle, #scuolesicure – la realtà è che lo scorso anno ci sono stati 30 crolli di solai, non imputabili a sisma ma a cattiva manutenzione. E anche se sulla partita solai il governo ha messo 40 milioni di euro, le verifiche realizzate lo scorso anno scolastico sono state 1.700, a fronte delle 14.000 richieste dagli enti locali e delle 7.000 programmate dal ministero.
“L'operazione tentata dal ministero – spiega Massimo Mari, responsabile sicurezza Flc Cgil – è stata quella di cercare di unificare il più possibile i diversi flussi delle diverse risorse. È vero che ci sono 4 miliardi di euro da spendere, però è altrettanto vero che non si intravede, dietro a queste risorse, un ragionamento di fondo. Quello che è accaduto alla scuola di Amatrice, del resto, ci dice che anche quando si realizzano interventi, siamo lontani dall’essere al sicuro. Nella sostanza, si è fatto ben poco per ridurre il rischio sismico e quello idrogeologico, nonostante le mappature ci dicano con chiarezza quali siano le zone più a rischio che, ‘guarda caso’, sono proprio le aree dove si sono verificati i terremoti più devastanti degli ultimi decenni”. Quanto alle risorse, per Mari c’è bisogno che siano esigibili e utilizzabili per gli interventi in tempi rapidi e poi, naturalmente, è “fondamentale definire quali sono questi interventi e, soprattutto, le priorità”.
Intanto una buona notizia c’è. Renzi ha annunciato che le risorse per la ricostruzione saranno fuori dal patto di stabilità, il che dovrebbe permettere agli amministratori locali di poter intervenire con delle risorse abbastanza velocemente. Il premier ha anche posto molta enfasi su Casa Italia, un progetto a lungo raggio che dovrebbe rimettere a posto il martoriato territorio d'Italia coinvolgendo anche i sindacati: “Anche qui però – commenta il sindacalista – resta il problema di quante risorse siano effettivamente disponibili e, per quanto riguarda gli interventi sulle scuole, una programmazione precisa e puntuale che parta da quelle più a rischio”. Poi ci sono due altre questioni fondamentali: “Le certificazioni degli interventi e il controllo che queste siano veritiere. Ricordo ancora una volta che la scuola di Amatrice era stata ristrutturata da pochi anni ed è venuta giù lo stesso – puntualizza il dirigente della Flc Cgil –. Oltre, poi, a tutta la partita del controllo della regolarità degli appalti dei lavori”.
La cultura della terra
Le questioni in campo sono dunque complesse e si intrecciano anche con fattori culturali. “Il vero anello debole del nostro paese – spiega Gian Vito Graziano, per tanti anni presidente del Consiglio nazionale dei geologi – sta nella reale consapevolezza dei rischi da parte dei cittadini. La pressione verso la politica deve venire dal basso, dalle persone che devono avere veramente a cuore le condizioni della propria casa, del proprio ufficio, della scuola in cui portano i propri bambini. Passata l’emergenza, tendiamo a dimenticare e a rimuovere, magari per poter vivere un po’ più sereni. Su questi temi servono dunque grandi campagne di informazione e di sensibilizzazione su questi temi”.
E poi c’è la cultura della terra e del territorio, quasi assente in Italia. Basti pensare che nel 1996 è stato istituito un Osservatorio sulla sicurezza nell’edilizia scolastica di cui, incredibilmente, non fa parte nessun geologo. “Purtroppo – aggiunge Graziano – in Italia c’è una scarsa percezione di quanto per la sicurezza siano determinanti i fattori geologici. Le norme, banalizzo, dicono come far stare in piedi un fabbricato, ma si occupano poco del contesto geomorfologico in cui quell’edificio sorge. L’arretratezza delle norme è conseguenza dell’arretratezza culturale del paese”. Il geologo puntualizza: “Un terremoto non va valutato solo rispetto all’effetto finale di scuotimento sull’edificio, ma bisogna prendere in considerazione il fatto che l’onda sismica in arrivo può essere smorzata o ampliata dal tipo di terreno. Sono quelli che noi chiamiamo gli effetti di sito evidenti, ad esempio, nelle immaginati pubblicate dai giornali dopo il terremoto del 2012 in Emilia-Romagna, con la faglia che sbucava fuori addirittura dalle sedi autostradali. Per tutte queste ragioni, è fondamentale conoscere il territorio a fondo, grazie a quella che noi geologi chiamiamo microzonizzazione”.
Lo scorso anno una scuola su quattro ha chiesto interventi strutturali che però nel 30 per cento dei casi non sono stati realizzati
Il caso Sicilia
C’è una regione in Italia che rappresenta bene il mix di pericolo e inazione che contraddistingue il nostro paese: la Sicilia. Questo territorio ospita il 92% delle scuole in zona sismica e il più alto numero di plessi che ricadono in zone ad alto rischio (ben 5.000: seguono Calabria e Campania). Nonostante questo, la norma sui centri storici approvata recentemente dalla Regione non dice nulla a proposito del rischio sismico degli edifici. L’effetto paradossale è che eventuali lavori potrebbero persino rendere più vulnerabili le strutture, tra le quali ovviamente ci sono tante scuole. “In questi anni la Regione non ha fatto nulla – denuncia Alberto Cipolla, insegnante e Responsabile del servizio di protezione e prevenzione in alcuni istituti dell’isola –. Non esiste alcun piano di adeguamento alle problematiche di tipo sismico degli edifici. Gli unici interventi realizzati negli ultimi anni riguardano la manutenzione ordinaria. Ma i 100 milioni disponibili sulla manutenzione non risolvono nulla: servono intervento mirati sia dal punto di vista progettuale che dal punto di vista poi dell'esecuzione e dei controlli delle certificazioni”. Anche sul controllo dei solai, su cui il governo ha posto molta enfasi dopo la tragedia di Vito Scafidi, i risultati sono scarsi: “Mi occupo di 60 plessi – aggiunge il docente –: non più di 3 o 4 di essi sono stati oggetto di controlli”.
Le responsabilità
Il fatto che la maggior parte delle scuole siano inadempienti sul piano della sicurezza, e non solo in caso di sisma – per dire: negli ultimi tre anni ci sono stati 112 crolli, non imputabili a terremoti e solo il 17 per cento delle scuole ha un certificato antincendio – pone dei grandi problemi in merito alle responsabilità. Ai sensi della 626 il dirigente scolastico è equiparato a un datore di lavoro, ma non ha risorse sue proprie da spendere per gli interventi, e non è proprietario degli edifici che, come noto, appartengono a Comuni e Province. “In presenza di rischi – riprende Cipolla – il dirigente dovrebbe teoricamente chiudere la scuola. Ma nessuno lo fa, perché potrebbe scattare la famosa ‘interruzione di pubblico servizio’; chi potrebbe intervenire sarebbe allora l’ente locale, che però ha l’obbligo di trovare una sede alternativa per svolgere le lezioni il che, soprattutto nei piccoli centri, è praticamente impossibile. Insomma: il dirigente e noi responsabili della sicurezza ci assumiamo responsabilità penali senza però avere nessuna garanzia e copertura sul piano giuridico”. Solo per fare un paio di esempi: lo scorso anno una scuola su quattro ha chiesto interventi strutturali che però nel 30 per cento dei casi non sono stati realizzati e l’81 per cento ha richiesto interventi di manutenzione all’ente proprietario, non effettuati però in un caso su quattro.
Molise: una buona pratica
Tuttavia, come spesso accade in questo paese, laddove buona politica, partecipazione e uso intelligente delle risorse si incontrano, di cose buone se ne fanno. È il caso di Baranello, piccolo comune in provincia di Campobasso. Dopo il terribile terremoto del 2002, quello che il 31 ottobre colpì in particolare San Giovanni di Puglia – radendo al suolo la scuola “Francesco Jovine” e uccidendo 27 bambini e una maestra – la scuola di Baranello è stata dichiarata inagibile. Il Comune, insieme ad altri dell’hinterland del cratere, ha ricevuto finanziamenti dalla Regione su fondi europei che prevedevano la demolizione e la ricostruzione di nuove strutture scolastiche più sicure.
“L'amministrazione decise di proporre alla Regione la realizzazione di un nuovo polo scolastico che comprendesse oltre che la scuola dell'infanzia anche le scuole elementari e le medie – racconta Marco Maio, l’attuale sindaco –. La scuola dell'infanzia è stata inaugurata nel 2011, secondo i più aggiornati criteri antisismici, mentre lo scorso anno, a settembre, abbiamo inaugurato scuola media ed elementare”. Per i plessi sono stati adottati degli isolatori sismici: sono infatti nella cosiddetta “zona uno” e dunque ad alto rischio sismico. Ora sono al sicuro. Fondamentale la condivisione della comunità locale: “In quelle scuole avevano studiato tutti – commenta Maio –, rappresentavano un pezzo della vita di ognuno: abbatterle non è stata una scelta facile. Tuttavia, nel sito dove sorgeva la vecchia scuola oggi c'è una piazza nuova, abbiamo realizzato un progetto di riqualificazione urbana, ampliando gli spazi a disposizione delle persone”.