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Almaviva chiude le sedi di Roma e Napoli e annuncia il licenziamento di 2.511 persone. È drammatico il nuovo capitolo nella vertenza dei call center di Almaviva Contact, che oggi, 6 ottobre, ha annunciato l'apertura di “una procedura di riduzione del personale”, all'interno di “un nuovo piano di riorganizzazione aziendale". Il piano prevede "una riduzione di personale pari a 2.511 persone riferite alle sedi di Roma (1.666 persone) e Napoli (845 persone)".
L'annuncio è arrivato a pochi giorni dagli incontri con i sindacati sui trasferimenti collettivi di personale da Palermo a Rende, in Calabria, e a pochi mesi dall'accordo raggiunto al Ministero dello sviluppo economico il 31 maggio scorso che aveva salvato oltre tremila posti di lavoro.
L'accordo prevedeva, per i lavoratori di Roma, Napoli e Palermo lo stop ai licenziamenti, ammortizzatori sociali per 18 mesi con una riduzione progressiva della solidarietà e la verifica mensile della situazione produttiva ed occupazionale dell’azienda in sede istituzionale. Un risultato frutto anche della mobilitazione e dell'impegno dei sindacati, con manifestazioni, incontri e proteste che erano durate mesi.
La decisione di oggi, invece, rimette tutto in discussione. E per questo è stata subito definita “scellerata” e “palesemente in violazione dell’accordo”, dal segretario generale della Slc Cgil Massimo Cestaro. “Le motivazioni addotte dall’azienda – secondo Cestaro - sono palesemente pretestuose e strumentali: è evidente l’assoluta inconsistenza delle presunte inadempienze sindacali quali causa della spregiudicata determinazione aziendale. Siamo di fronte a un’autentica provocazione nei confronti delle organizzazioni sindacali e del governo, nonché di una volgare forma di intimidazione nei confronti dei lavoratori”.
Almaviva, infatti, ha giustificato in una nota la sua scelta con le perdite medie mensili nei due siti: "Nel periodo successivo all'accordo del 31 maggio (giugno-settembre 2016), nonostante l'utilizzo di ammortizzatori sociali, sono pari a 1,2 milioni di euro su ricavi mensili pari a 2,3 milioni di euro". L'azienda ha poi accusato i sindacati di “rifiutare di sottoscrivere lo specifico accordo sulla gestione di qualità e produttività individuale, impegno centrale e condiviso come vincolante in sede d'intesa, che nega inspiegabilmente una fondamentale leva distintiva per la qualificazione dell'offerta ed il progressivo riassorbimento degli esuberi".
Le accuse sono state prontamente rispedite al mittente da Massimo Cestaro. “Respingiamo con fermezza tale decisione – ha detto il dirigente sindacale -, ribadendo che i lavoratori hanno già pagato un prezzo altissimo”. Il sindacato chiede quindi “un intervento immediato del governo”, perché “la soluzione all’ennesima crisi di questa azienda non può essere trovata continuando a giocare sulla pelle dei lavoratori”.