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Contratto del settore chimico-farmaceutico: “L’ultima parola sarà quella delle lavoratrici e dei lavoratori”. Si apre così una lunga lettera inviata dal segretario generale della Filctem-Cgil, Emilio Miceli, alle strutture e ai lavoratori alla vigilia delle assemblee del settore, che termineranno il prossimo 25 novembre. I lavoratori sono chiamati a votare sull'ipotesi di accordo per il contratto, siglata lo scorso 15 ottobre. Riproduciamo integralmente il testo della lettera.
L’ultima parola sarà quella delle lavoratrici e dei lavoratori. Saranno loro e solo loro, nella sovranità che è propria della rappresentanza democratica, a decidere se quello chimico-farmaceutico, sottoscritto il 15 ottobre scorso, è un buon contratto.
In questi giorni si è alzato, da parte confindustriale, un vero e proprio fuoco di sbarramento contro l’ipotesi di accordo e soprattutto contro l'uso dell'indicatore dell'aumento inflattivo e non, come si riteneva da parte sua indispensabile, attraverso la produttività maturata. Era, per noi, discriminante, ai fini della sottoscrizione del contratto, non abbandonare la strada maestra di un aumento salariale che fosse sorretto da un indicatore in grado di registrare l'andamento del Paese per rispondere alle caratteristiche di solidarietà e coesione che a nostro avviso devono essere proprie del contratto nazionale.
Difficilmente un indicatore d’impresa può diventare il punto di sintesi di intere filiere industriali ed è curioso come debba essere il sindacato ad affermare che la produttività, quella vera, la si realizza in fabbrica. Ed è altrettanto curioso che siano le organizzazioni sindacali a ricordare alla fazione più radicale di Confindustria, e anche al Governo, quanto sia pericoloso inaugurare una stagione di conflitto in presenza di primi, debolissimi segnali di ripresa.
Si afferma pericolosamente, tra le classi dirigenti del paese, una forma sempre più evidente di radicalismo che poco si addice alla natura stessa delle associazioni imprenditoriali e dello stesso Governo. Sono, questi, ulteriori effetti preoccupanti di una crisi che speriamo sia alla sua conclusione, ma anche segni inequivocabili di una rinnovata arroganza. La brutta presa di posizione della struttura industriale di Vicenza, le rigidità di una parte importante delle associazioni territoriali, insieme alla delusione di parte della stampa pronta ad incoraggiare una linea più dura della associazione datoriale, ci dicono che la stagione contrattuale è in forse. Per questo si è resa necessaria una accelerazione nella presentazione delle piattaforme e la tempestiva sottoscrizione del contratto chimico-farmaceutico. Sapete bene quanto abbiamo dovuto impegnarci per frenare l’irrigidimento di Farmindustria, organizzazione con la quale abbiamo pure costruito, così almeno è stato nel recente passato, un equilibrato sistema di relazioni industriali oggi seriamente in discussione. La farmaceutica è nota per essere un settore nel quale il valore aggiunto pro capite è in grado di competere con le esperienze più avanzate nel contesto globale. Di fronte a tanta strumentalità come non vedere un disegno tutto politico dietro lo scontro in corso?
Quello sottoscritto è per noi un buon compromesso
Quello sottoscritto è per noi un buon compromesso. Facciamo uscire il settore dai rischi di lacerazione; manteniamo ferma la nostra posizione nella difesa, per tutti, del potere d’acquisto; spostiamo in azienda quote di produttività finora appannaggio del contratto nazionale; reintroduciamo il principio che i codici disciplinari di derivazione contrattuale, attraverso la gradualità delle sanzioni, rappresentino ancora un argine alla riforma devastante dei licenziamenti individuali introdotta con il jobs act; miglioriamo alcune condizioni legate ai diritti individuali e risolviamo, credo in modo soddisfacente, il problema degli scostamenti inflattivi che ci ha consegnato questa lunga fase di depressione dell’economia italiana. A questo proposito, abbiamo sconfitto l’idea, forte in Confindustria, di usare gli scostamenti inflattivi come pretesto per cambiare il modello di erogazione salariale.
Va tutto bene? Certamente no, poiché alle spalle abbiamo anni di sacrifici, di ammortizzatori sociali, di disoccupazione. Si sa, quando cresce la disoccupazione c’è sempre il rischio di una diminuzione dei diritti di chi lavora. Quando aumenta l’esercito di riserva della manodopera, infatti, si è più deboli e si rischia un forte arretramento sociale. È sempre stato così.
Credo si possa dire che ciò in questa occasione non sia successo perché abbiamo saputo mantenere fermo il riferimento contrattuale quale argine di fronte ai pericoli di sgretolamento del tessuto produttivo ed innanzitutto dell’insieme dei diritti che propone il contratto nazionale.
Ho sentito molto forte, nella polemica spicciola di questi giorni, la negazione di un valore di riferimento del ‘sistema chimico’ nelle relazioni industriali, mentre ancora qualche giorno fa veniva indicato quale sistema di riferimento proprio da Confindustria.
Non devo ricordare a voi quanto questo tema abbia animato il nostro dibattito, ci abbia diviso e comportato perfino conseguenze traumatiche in più di un’occasione. Non pensavamo ieri che quello chimico-farmaceutico dovesse essere il modello di tutti e non lo pensiamo di certo oggi. Le filiere ed i contesti di mercato sono così diversi gli uni dagli altri che tracciare una rigida linea per tutti è difficile.
La pericolosità delle posizioni datoriali risiede nella novità di una richiesta di rottura dei sistemi più avanzati
Le relazioni industriali, ovviamente, risentono fortemente del modello produttivo. I modelli relazionali sono anch’essi figli della qualità dei processi produttivi e del loro rapporto con il valore aggiunto dei prodotti. Quello che mi ha colpito è invece come una parte di Confindustria non colga la pericolosità dello smantellamento di un sistema di relazioni industriali forte, robusto, senza il quale nessuna buona pratica può davvero essere proposta. Ecco, la pericolosità delle posizioni datoriali risiede nella novità di una richiesta di rottura dei sistemi più avanzati. Questi sono il tema politico e la novità di queste ore.
‘Sovversivismo delle classi dirigenti’: così lo definiva Gramsci
‘Sovversivismo delle classi dirigenti’: così lo definiva Gramsci agli inizi dell’altro secolo. Infatti la crisi sembra ancora una volta avere indotto le classi dirigenti, come fu allora nella grande alleanza con i ceti parassitari, a ricercare, in sintonia con un Governo astioso, uno scontro frontale con il mondo del lavoro. Sono fenomeni epocali e forse ciclici ai quali dovremo essere in grado di rispondere attraverso una analisi rigorosa ed una nuova stagione di mobilitazione che si profila a questo punto difficilmente evitabile. Questo contratto, anche con le imperfezioni che l’occhio vigile del sindacalista può intravedere, è invece un atto di affermazione dei diritti di tutti e vogliamo che questa continui ad essere la missione del contratto nazionale.
Adesso la parola è ai lavoratori e vi chiediamo di interpellarne il numero maggiore possibile. È una prova di forza a cui non possiamo sottrarci. Lo facciamo potendo contare su un rapporto unitario che era più fragile prima del contratto mentre oggi è saldo, forte. La competizione, quella vera, è con altri. Altrimenti la sconfitta è certa. Abbiamo davanti l’impegno per organizzare le assemblee ed il voto delle lavoratrici e dei lavoratori. Dopo questo atto fondamentale di democrazia potremo affermare più che mai la forza e lo spirito del contratto nazionale dando un contributo importante, come da sempre nella storia dei chimici, a tanti tra lavoratrici e lavoratori che rischiano di non vedere in tempi certi il rinnovo del loro contratto di lavoro.