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“Venga a prendere il caffè da noi!”. È quello che ripetono alla gente che passa, ormai da settimane in presidio permanente davanti alla fabbrica, con la tenda rossa della Flai Cgil, i 57 lavoratori della Jde (Jacobs Douwe Egberts), la multinazionale olandese del caffè (massimo gruppo pure play a livello mondiale, al secondo posto come produzione dopo Nestlè-Nespresso), proprietaria di brand celebri come Hag e Splendid, dopo che il 25 settembre scorso ha annunciato, come un fulmine a ciel sereno, di voler chiudere, dal primo gennaio 2019, l’unico stabilimento italiano di Andezeno (in provincia di Torino) e di licenziare tutto il personale (assunto a tempo indeterminato), trasferendo la produzione in uno dei quindici impianti dislocati in Europa (si parla in particolare di quello in Bulgaria, dove il costo del lavoro è inferiore).
“La notizia della chiusura ci è giunta del tutto inaspettata – afferma Denis Vayr, segretario generale Flai Piemonte –. Con la direzione aziendale dovevamo vederci presso la sede di Assolombarda a fine luglio, ma poi l’incontro era slittato al 25 settembre, per discutere del rinnovo dell’integrativo. Due giorni prima della data fissata, ci arriva un comunicato che cambia l’ordine del giorno, annullando il tavolo negoziale sul contratto e annuncia di voler discutere di altre cose. Per la verità, qualche sentore di preoccupazione lo avevamo avuto: ci eravamo accorti che il direttore dell’impianto era sempre poco presente in sede e poi gli investimenti effettuati nell’ultimo periodo erano stati ridotti. Ma i dati sulla produzione erano rimasti pressochè inalterati, tanto che nel 2017 quella del caffè in chicchi non macinato era addirittura salita dell’1%, mentre il mercato del caffè tostato era sceso dell’1,5”.
Dal canto suo, la società ha dichiarato che la decisione di chiudere i battenti nel nostro Paese si è resa indispensabile poiché la vendita del caffè macinato è calata in modo drastico negli ultimi anni, a causa dell’ingresso nel mercato di cialde e capsule, che stanno soppiantando il caro vecchio caffè da moka. Un fenomeno che ha conquistato l’Europa, a cominciare proprio dall’Italia. Ciò ha creato problemi di sovraccapacità all’interno del network produttivo. Tanto da mettere in difficoltà anche un sito storico, come quello alle porte di Torino, nato nel lontano 1920, che mai prima d’ora aveva avuto segnali di flessione, e dove ogni anno si confezionano migliaia di tonnellate di caffè, che arriva crudo dal Brasile e viene in loco tostato e macinato, per finire poi sugli scaffali di negozi e supermercati. Sempre la Jde, ha giustificato la sua scelta anche sulla base degli eccessivi costi di trasporto della materia prima.
I sindacati regionali di categoria Flai e Uila hanno subito proclamato lo stato di agitazione, effettuando due giornate di sciopero (il 25 e 26 settembre), per poi continuare a turno con una o due ore di sciopero al giorno. Organizzazioni sindacali e Rsu chiedono l’immediato ritiro dell’apertura di licenziamento collettivo (che ha una procedura di 75 giorni e terminerà il 9 dicembre) e l’apertura di un tavolo istituzionale per trovare soluzioni che prevedano innanzitutto il mantenimento dell’occupazione. La risposta è arrivata da parte del ministero dello Sviluppo economico, che ha convocato le parti per lunedì 22 ottobre, dopo che l’azienda aveva disertato, senza fornire spiegazioni, l’incontro convocato per il 3 ottobre dalla Regione Piemonte, il cui assessore regionale al Lavoro, Gianna Pentenero, ha definito l’atteggiamento di chiusura del gruppo “poco plausibile”, invitando nuovamente al dialogo e alla ricerca di “soluzioni alternative che consentano il mantenimento della produzione e dei posti di lavoro sul territorio”.
“Dall’incontro al Mise – rileva il dirigente sindacale –, ci aspettiamo delle risposte chiare dal management. Innanzitutto, vogliamo sapere se in qualche modo la situazione è recuperabile attraverso una diversa organizzazione del lavoro, mediante una ristrutturazione aziendale mirata, o grazie anche all’intervento della politica. Se poi ci accorgiamo che tutto questo non porta a nulla, proveremo con la reindustrializzazione di un territorio che, peraltro, ha già dei gravi problemi occupazionali. Già sappiamo che vi sono aziende straniere del settore interessate a quel sito produttivo, che puntano a produrre caffè in Italia, cosa che rappresenta ancora un volano proficuo. E comunque quel sito può avere altri sviluppi e altri impieghi, anche cedendo i marchi. Insomma, l’azienda ci renda partecipi se è stato fatto tutto il possibile per risolvere il problema e dia più tempo alla vertenza, cercando tutti di capire come ottenere la cassa integrazione della durata di un anno per tutti i lavoratori per cessazione di attività. Se poi decide di andarsene, Jde deve creare assolutamente le condizioni per garantire una pronta reindustrializzazione. Deve dirci i tempi dell’operazione, cosa vuole fare con i macchinari. Ma per fare tutto ciò, ci vuole il dialogo, il muro contro muro alzato finora dal management non serve”.