PHOTO
La ripresa italiana, tanto annunciata e in parte certificata dalla stessa Commissione europea ieri in un suo documento, in realtà è effimera. "Il nostro Paese non riesce a fare un salto di qualità nella struttura produttiva e nel gap di domanda che ha accumulato nei riguardi degli altri Paesi dell’Unione. Il ritardo è quantificato in trenta punti di Pil dal 1992 ad oggi. E anche le previsioni di Confindustria sostengono che recupereremo il livello del Pil solo nel 2021 e che mancano ancora 6,4 punti percentuali. A tale ritmo di crescita, è impossibile recuperare l’occupazione perduta in quasi dieci anni di crisi”. Così Riccardo Sanna, coordinatore area politiche di sviluppo della Cgil nazionale, intervistato oggi da Economisti erranti, la rubrica di RadioArticolo1, assieme a Roberto Romano, economista dell’università di Bergamo.
“Oltretutto, malgrado il nostro ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, vanti una crescita di posti di lavoro, sappiamo benissimo - basta leggere i dati Istat – che il 70% dei nuovi contratti sono a termine, che di questi la stragrande maggioranza non interessa le nuove generazioni, che sono tantissimi i precari a basso salario, che il tasso di disoccupazione giovanile è sempre al di sopra del 35%”, ha ribadito Sanna.
Nelle sue previsioni, la commissione Ue attesta che restiamo tra i primi paesi dell’Unione solo in tema di disoccupazione, dopo Spagna e Grecia. "E tutte le proposte di politiche economiche dei governi italiani degli ultimi vent’anni non hanno avuto alcun impatto sui processi di crescita di posti di lavoro - secondo Romano -. In più, c’è un altro indicatore, ancora più prezioso, che dovrebbe consigliare delle politiche più appropriate. Quello relativo ai nostri giovani laureati fuggiti all’estero - circa mezzo milione di persone, tra il 2008 e il 2016 – a cercare lavoro. Sono persone che abbiamo formato in Italia, spendendo tante risorse per la loro formazione. In più, in quello stesso arco di tempo, nel nostro Paese gli investimenti sono diminuiti in rapporto al Pil".
Questo, prosegue l'economista, "contribuisce a far sì che la logica degli incentivi messi a punto dal governo per l’occupazione sul piano dei costi-benefici è assai squilibrata. Ma qui entra in gioco anche l’arretratezza del nostro sistema imprenditoriale, che a fronte di poche grandi imprese che possono accedere al progetto Calenda su industria 4.0, la stragrande maggioranza sono piccole e medie aziende con un valore aggiunto di produzione assai basso, che giocano la propria competitività solo sul costo del lavoro. E in molti casi la stessa domanda di lavoro non è legata alle competenze dei giovani, ma a produzioni di beni e servizi unskilled, ovvero che necessitano di poca conoscenza”, ha osservato Romano.
“Il punto è proprio questo - per Sanna -. Se il 25%, cioè un’impresa italiana su quattro, è uscita in qualche modo vincente dalla crisi, la stragrande maggioranza delle aziende non ha fatto investimenti, non ha fatto ricerca, nè istruzione né formazione professionale: in una parola, non ha fatto highskill, cioè non ha raggiunto un alto livello di competenze. Stessa cosa fa il governo con l’ultima legge di Bilancio, dove anziché aumentare gli investimenti, sceglie il sentiero stretto dell’austerity, dei tagli alla spesa, della politica dei bonus e della svalutazione competitiva. Ma alla fine cos’è successo in questi anni con tutti quegli sgravi alle imprese? Che abbiamo buttato via una ventina di miliardi sotto forma di riduzione dell’Irap sul costo del lavoro. Poi li abbiamo messi per il Mezzogiorno, distraendo le risorse europee. Ora li riproponiamo per paura che scoppi la bolla occupazionale con meno diritti e salari più bassi, sempre nella stessa logica di riduzione del costo del lavoro: ma a chi lo riduciamo? Alle imprese che vanno bene no di certo, perché non ne hanno bisogno; semmai a tutte quelle altre che non fanno salti di tecnologia, d’innovazione e di occupazione e che senza incentivi resterebbero ancora più indietro".
La Cgil chiede di cambiare le cose, di fare pulizia nelle forme contrattuali, d'introdurre più sostegni all’apprendistato e nuovi ammortizzatori sociali. "Su quest’ultimo punto, c’è stata un’apertura, ma gli strumenti sono ampiamente insufficienti, Inoltre, ci vuole un sostegno alla formazione 4.0, e più in generale all’istruzione, per sostenere le nuove generazioni che devono affacciarsi al mondo della digitalizzazione e dell’automazione, materie su cui l’Italia resta tuttora ultima nella classifica europea”, ha concluso Sanna.