Presidio di protesta oggi a Roma davanti alla sede di Italia Lavoro, l’agenzia del ministero del lavoro nata per promuovere lavoro e occupazione, dei suoi collaboratori a progetto che si sono visti rescindere unilateralmente dall’azienda i propri contratti, come ritorsione per l’invio delle lettere cautelative previste dal ‘collegato lavoro’. A darne notizia è una nota della Cgil nel sostenere che: "Numerosi i lavoratori dell’ente che si sono fermati a solidarizzare con gli ex colleghi, dai dipendenti ai collaboratori preoccupati dall’entrata in vigore del termine dei 36 mesi: anche loro infatti rischiano di perdere il posto a causa dell’applicazione di un regolamento interno che non trova alcun fondamento normativo".

"Nel più totale disinteresse dei ministeri competenti - ha commentato il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni - l’agenzia strumentale del Ministero del Lavoro che, ironia della sorte, avrebbe fra i propri compiti anche la promozione dell'occupazione e dell'inclusione sociale rescinde il rapporto di lavoro con decine di collaboratori, che anche oggi hanno manifestato per chiedere il ritiro dei licenziamenti". La causa, prosegue il sindacalista, "è sempre il collegato lavoro. Nella confusione e nel giustificato timore degli effetti di quella legge sbagliata alcuni lavoratori hanno inviato delle semplici comunicazioni cautelative in vista della scadenza dei loro contratti. Italia Lavoro ha colto la palla al balzo per rescindere unilateralmente quei contratti, senza che vi fossero motivazioni legate alle prestazioni lavorative o al raggiungimento degli obiettivi assegnati. Licenziamenti ingiustificati che devono essere ritirati e per questo continuerà l'iniziativa di mobilitazione nelle diverse forme possibili".

Inoltre, rincara la dose il segretario confederale, "non è tutto qui: Italia Lavoro è un ente i cui dipendenti sono al 60% circa contratti di collaborazione e nel restante 40% oltre al lavoro stabile anche tanti contratti a tempo determinato. C'è un uso dunque altissimo del precariato. La giustificazione portata sono i compiti dell'istituto e le caratteristiche temporanee dei progetti, ma quello che non è giustificabile è che per questi lavori si utilizzano in modo pressoché stabile le stesse persone ormai da molti anni, ma sempre con un lavoro precario". Si sono formate così competenze e professionalità in una situazione però insostenibile. Allora che fa l'istituto? "Risolve il suo problema - spiega Fammoni - non pensando a come stabilizzare i lavoratori ma stabilendo un limite massimo di utilizzo (3 anni) retroattivo che porterà al progressivo allontanamento di centinaia di persone. Così non va. Oggi l'emergenza è bloccare la rescissione dei contratti. Ma occorre anche fare luce sulla situazione di un ente pubblico che funziona così". Per questo, conclude Fammoni, "oltre alle tutele sindacali alle persone, oltre alla richiesta già inviata di intervento ai ministri, chiederemo anche un intervento a livello parlamentare, restando in attesa di essere convocati dall’azienda, così come richiesto dalle categorie".