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“In Bici senza Sella” è il film al quale ho iniziato a pensare diversi anni fa e che ho temuto di non poter mai realizzare. E invece il film ora c’è, ha già vinto alcuni premi, sarà nelle sale ed è stato presentato a Roma, il 27 ottobre scorso, nella facoltà di Economia della Sapienza, per iniziativa del Ciret (Centro interuniversitario di ricerca Ezio Tarantelli), alla presenza di tantissimi studenti e di un ospite d’eccezione, Colin Firth. Quel giorno si è anche discusso dei contenuti del film e della rappresentazione che offre del mondo del lavoro, visto con gli occhi dei giovani.
Vorrei dire che il senso del film in fondo sta tutto nel titolo, “In Bici senza Sella”. Perché siamo oramai abituati a non poterci mai sedere, a dover spingere sui pedali perché la strada è sempre più in salita e sempre più dura. Il progetto è nato quattro anni fa. Ero appena tornato da Londra dove avevo vissuto per tre anni. Nell’ansia di trovare subito qualcosa da fare avevo mandato una sceneggiatura di un cortometraggio a varie produzioni. Una di queste, la Tandem Film, mi ricontatta e mi invita per un colloquio. Dopo due ore, il produttore della Tandem, Enzo Giulioli, mi fa “noi non produciamo corti, però mi sembri un ragazzo sveglio, ti va di imparare il mestiere di produttore?”.
Dopo i primi mesi mi sono subito reso conto delle difficoltà che può avere una produzione indipendente che investe sui giovani a trovare i finanziamenti per mettere su un film. Io di registi giovani, per la mia carriera di attore, ne conoscevo parecchi e tutti bravissimi, così li ho convocati in ufficio e ho proposto la mia idea: perché non facciamo un film a episodi, come si faceva tanti anni fa, in modo tale da abbattere i costi, e riuscire a finanziare ogni episodio appena riuscivamo a raccogliere un po’ di soldi? Dopo averne girati due ho provato a cercare finanziamenti in modo “canonico”, ministero, Rai ecc. La risposta che ricevevo sempre era: “Un film a episodi? Non se ne fanno più. Senza un nome alla regia e attori famosi andrai a sbattere contro un muro”.
Questa risposta mi sembrava una sfida e così, non avendo altre alternative ho provato con il crowdfunding. Siamo riusciti in 60 giorni non solo a raccogliere circa 25 mila euro, ma, avendo visto un piccolo trailer sulla rete, sono stato contattato da varie società che ci offrivano di entrare in partecipazione nel film. Solo grazie a tutto questo siamo risusciti a girare il film con meno di 100 mila euro, pagando tutti! Collocando tutti!
L’idea di affrontare nel film il tema del precariato era quasi una necessità, volevamo raccontarci, raccontare la nostra generazione e le difficoltà insormontabili che si trova ad affrontare. Volevamo prima di tutto dimostrare a noi stessi chi eravamo, un gruppo di ragazzi che giustamente si lamenta: di questo Paese, dell’impossibilità di intravedere un futuro, dei raccomandati, dello Stato, della corruzione nello Stato, di questo Stato assistenzialista verso chi non ha bisogno di assistenza. Pensiamo solo a quali sono i soggetti che ricevono più soldi statali nel mondo del cinema: i grandi registi e le grandi produzioni, ma potrei forse anche far notare che negli ultimi anni, diciamo dalla crisi del 2008 a oggi, lo Stato è stato assistenzialista soprattutto verso le banche, o sbaglio?
Dicevo, dimostrare a noi stessi chi eravamo. Ragazzi che avevano studiato tantissimo per fare il mestiere che avevano scelto, che si erano preparati a fondo, ma che trovavano la porta sbarrata. Allora le soluzioni erano due: continuare a lamentarsi oppure prendere in mano il timone e invertire la rotta, fare qualcosa, nel nostro caso fare un film. Perché penso che nella vita il sentimento peggiore che possiamo provare sia il rimpianto: il rimpianto di non aver fatto abbastanza, il rimpianto di non averci provato fino in fondo, di non essere stati all’altezza, di esserci arresi. Spero che questo film possa insegnare qualcosa, sicuramente a non arrendersi, a cercare in tutti i modi una soluzione, a usare tutta la preparazione, lo studio e la fantasia che abbiamo a disposizione.
A ogni generazione viene affibbiato un nome: generazione X, Y, Z, perché in effetti ogni generazione porta con sé il suo bagaglio storico. Ma quale nome potremmo dare a quella macro generazione che va dai quarantacinquenni di oggi fino a comprendere anche i ventenni? Una macro generazione che ne comprende altre 10 al suo interno? Potremmo effettivamente chiamarla la generazione dei Senza Sella? Perché un dato ci accomuna tutti, la difficoltà di accesso al mondo del lavoro, unita all’estrema competizione.
Viviamo in un mondo in cui ci viene fatto credere di avere accesso a tutto, in cui tutto è a portata di un clic, in cui basta avere una buona idea per realizzarla, ma non è cosi. Pensiamo a come è stato realizzato questo film, tra le varie forme di finanziamento una parte importante l’ha avuta la raccolta di fondi su Internet, l’aiuto della rete, e in effetti senza questo aiuto sarebbe stato molto più difficile, se non quasi impossibile arrivare dove siamo arrivati.
Ma il come non interessa a nessuno? Sì, perché per arrivare qui, abbiamo dovuto lavorare in condizioni molto precarie, infaticabilmente, sfamandoci con l’idea che stavamo costruendo qualcosa di importante. Ma questa non può essere la norma. Non deve esserlo. Un esempio per rendere più chiaro il ragionamento: pensate ai casi di Foodora, di Uber, di Airbnb. È vero, questi servizi sembrano fatti espressamente per aiutarci, e in molti casi io stesso li ho utilizzati. In fondo, affittare un piccolo appartamento per poche decine di euro in una qualsiasi città del mondo solo con un clic, o poter risparmiare con il servizio di Uber invece di dover prendere un taxi, sono una rivoluzione per noi giovani. Ma pensate al lungo periodo: Airbnb ci offre case a prezzi stracciati, ma se ci trovassimo nella situazione di dover trovare una casa in affitto nella città in cui viviamo? Ci avete mai provato?
Ce ne sono poche e a prezzi molto alti, perché chi possiede un appartamento preferisce affittarlo a giorni invece di darlo a uno sconosciuto per due anni. Lo stesso vale per chi lavora con Uber, è vero voi risparmiate, ma pensate che chi guida la macchina, chi offre un servizio, sia remunerato giustamente per il lavoro che svolge? No, non credo. Perché esiste una competizione al ribasso, in una società moderna che sembra venirci incontro, aiutarci, e invece non è così. Perché è vero che oramai quasi tutti possono avere quasi tutto, ma a quali costi?
Tutto ci spinge a una competizione al ribasso, nel mondo del lavoro, ma anche nella politica, così come nel mondo dell’entertainment. Questa è la più grande battaglia che dobbiamo affrontare. Dobbiamo combattere perché non venga meno l’importanza della preparazione e dello studio, perché la preparazione è l’arma migliore che ciascuno di noi ha in mano. Ma perché quell’arma dia i frutti che merita, e li dia al più grande numero, occorre che qualcosa cambi nelle “regole del gioco” e si possa finalmente pedalare, tutti, su una Bici con la Sella.
Alessandro Giuggioli è attore, produttore e regista