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“Usciamo da un confronto denso e complesso. Alla vigilia dell’assemblea, avevamo indicato il nostro obiettivo nel coinvolgimento il più ampio possibile dei nostri delegati e dei nostri dirigenti meridionali nella discussione, per noi fondamentale, sui temi dello sviluppo. Per come sono andate le cose, mi sembra di poter dire che quell’obiettivo è stato pienamente centrato”. Gianna Fracassi, segretaria confederale della Cgil, riassume con queste parole la due giorni di dibattito dell’Assemblea generale, dedicata ai problemi del Mezzogiorno, che la confederazione ha tenuto a Lecce il 14 e 15 settembre.
Rassegna Che cosa significa per la Cgil tornare a parlare, con l’intensità che ha caratterizzato i lavori dell’Assemblea generale, di Sud?
Fracassi Significa innanzitutto tornare a discutere il tema della coesione, con l’intento prioritario di rimetterlo al centro del dibattito della nostra organizzazione. Un punto importante, che non possiamo derubricare solo alla dimensione di architettura istituzionale, in un momento in cui invece si affermano nuovi egoismi e tentativi di forzare sul versante dell’autonomia delle singole regioni, perché riguarda la questione di cosa, di quale progetto sociale e politico tiene insieme il Paese, quali valori fondanti lo rappresentano. Ma significa allo stesso tempo affrontare le profonde fratture che i nove anni di crisi hanno aggravato o determinato. Fratture che non sono solo economiche, ma anche sociali, e che dividono i territori, le persone e le generazioni. Questo mette al centro della discussione il modello di sviluppo, con la necessità di costruire una diversa strategia, che abbia come fondamento i principi della sostenibilità sociale ambientale ed economica. Detto in altri termini: territorialità, redistribuzione, superamento delle disuguaglianze. Un modello di sviluppo che abbia come cardini la qualità sociale e la qualità ambientale, libertà, uguaglianza e, inevitabilmente, processi decisionali più partecipativi.
Rassegna Come giudichi nel complesso gli interventi sul Mezzogiorno messi in campo dal governo?
Fracassi A guardare l’insieme delle scelte adottate dal governo, la vera assente è una strategia complessiva che renda espliciti sul piano economico e sociale gli obiettivi di sviluppo e di crescita. Qual è il progetto per il Sud? Su quali indicatori puntare? Eppure stiamo parlando di un territorio che continua ad avere potenzialità e punte di eccellenza: dall'agricoltura all'energia, alle straordinarie potenzialità del terziario, in modo particolare legato al turismo, a insediamenti industriali esistenti che hanno resistito durante la crisi. Direi che il punto da sciogliere è proprio la prospettiva e l'assenza di una strategia nazionale sullo sviluppo del Mezzogiorno e, aggiungo, del Paese. Affrontare il tema della prospettiva, non significa farlo in termini rivendicativi o competitivi interni. Deve essere chiaro il legame che c'è tra strumenti e interventi sul Sud ed effetti per il complesso del Paese. Investire al Sud conviene a tutti, non solo perché rappresenta uno sbocco fondamentale della produzione nazionale, ma perché la crescita del suo reddito traina lo sviluppo del reddito nazionale. Non solo. Anche la programmazione europea non va sprecata, per questo occorre oggi finalizzare completamente le risorse in campo sul versante dell’addizionalità, concentrandole. Per fare ciò occorre però ripristinare quelle condizioni di contesto che stanno in capo allo Stato.
Rassegna Entrando maggiormente nel merito?
Fracassi Bene ristabilire il corretto rapporto in base alla popolazione di spesa pubblica per il futuro, ma ciò non è sufficiente. Ripristinare le condizioni di contesto significa che da qui al 2022, data effettiva di spesa e chiusura della programmazione europea, è necessario – non in termini risarcitori, ma come investimento del sistema Paese nel suo complesso – aumentare almeno al 45% la spesa pubblica per il Sud, finalizzando queste risorse e condizionandole rigidamente sia rispetto agli obiettivi, che non possono che essere quelli di un innalzamento della qualità dei servizi pubblici collettivi, che rispetto alla valutazione della qualità della spesa.
Rassegna Di cosa avrebbe maggiormente bisogno il Sud del nostro Paese?
Fracassi Di uno Stato protagonista, che interpreti, guidi e governi i processi e di istituzioni territoriali che si facciano interpreti sui propri livelli di questi stessi processi. Lo accennavo prima: serve una visione di sistema e di lungo periodo che rafforzi l’esistente e che si ponga l’obiettivo di selezionare obiettivi, legandoli all’innovazione di processo e di prodotto. Un intervento simile per intensità a quanto accaduto nell’immediato dopoguerra. In questi anni, i governi hanno abdicato a un ruolo di questo tipo, hanno privilegiato strumenti essenzialmente di natura fiscale, dai bonus agli incentivi, che hanno funzionato dove gli elementi di contesto, a partire dalle infrastrutture, sono nelle condizioni di determinare importanti ritorni di natura economica o dove la dimensione delle imprese sorregge. Non vogliamo demonizzare gli interventi di questa natura, ma crediamo che non si possa fare solo affidamento su questi strumenti.
Rassegna In quelli che nella tua relazione all’Assemblea generale di Lecce hai definito i “venti anni di solitudine” del Mezzogiorno, non hanno influito anche, e con precise responsabilità, le politiche europee?
Fracassi Non c’è dubbio, le politiche europee hanno pesato e continuano a pesare nelle decisioni dei singoli Stati membri, a partire dalle scelte che diventando definitive potrebbero rendere buona parte delle idee di ripresa e sviluppo di difficile realizzazione. Mi riferisco in particolare alla ratifica del Fiscal compact nei trattati, rispetto alla quale la Cgil ha sempre manifestato la propria netta contrarietà. Allo stesso tempo, queste politiche hanno ignorato i Mezzogiorni d’Europa, tutti i Mezzogiorni d’Europa, nelle grandi strategie territoriali. Un deficit di politica, un deficit di valori. Si è deciso di puntare decisamente a Nord, dimenticando proprio le realtà territoriali e regionali che più hanno sofferto durante la fase della crisi e che, di conseguenza, più hanno necessità di una strategia europea che si rivolga prioritariamente a loro.
Rassegna Un grande progetto di sviluppo del Mezzogiorno può prescindere dal contributo del sindacato?
Fracassi No, non può fare a meno di un forte coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza sociale e, tra queste, in primo luogo di chi rappresenta il lavoro. Un errore strategico non farlo in modo strutturale durante la fase di definizione del Masterplan, così come altrettanto grave è non prevedere luoghi nel territorio in cui si determina un coordinamento e un coinvolgimento. La partecipazione è fondamentale per indurre responsabilità e condivisione.
Rassegna Nonostante tutto, il sindacato, la Cgil in particolare, non ha rinunciato sull’argomento a esercitare un ruolo da protagonista.
Fracassi Se rivolgo uno sguardo a quanto fatto, mi rendo conto dell’enorme mole di lavoro svolto soltanto negli ultimi mesi. A livello nazionale, abbiamo messo a punto con Cisl e Uil due documenti, sottoscritti anche da Confindustria. Un filo unitario con gli altri sindacati confederali che non abbiamo mai abbandonato e che dobbiamo rafforzare. In quasi tutte le regioni abbiamo piattaforme nella maggior parte dei casi unitarie, in alcune realtà divenute patto condiviso con l'istituzione regionale o comunale, mentre più di una categoria nazionale ha promosso iniziative di approfondimento, opportune e importanti, sui temi dello sviluppo del Mezzogiorno. Ma nonostante questo protagonismo possiamo e dobbiamo fare ancora molto.