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Gli indicatori economici mostrato leggeri segnali di miglioramento, ma parlare, come si è fatto, di ripresa, è eccessivo. D'altronde lo 0,1 percento di aumento tendenziale del Pil registrato nel primo trimestre è veramente molto poco e appare più vicino a quella che, in termini economici, è chiamata "stagnazione". Lo sanno bene tutte quelle famiglie (e sono la gran parte) che faticano ad arrivare alla fine del mese e che, nella quotidianità, non trovano riscontri concreti ai toni, spesso trionfalistici, che accompagnano ogni comunicato dell'Istat che porta in dote un qualche segno "più”.
È questa la fotografia, scattata dall'Associazione Bruno Trentin in collaborazione con Tecnè. Una ricerca che mette a fuoco non la popolazione nel suo complesso ma l'universo di riferimento del sindacato: lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, giovani, famiglie a basso reddito. E, d'altronde, 8 anni di crisi hanno colpito il cuore pulsante del nostro Paese (la sua capacità produttiva, i redditi delle famiglie, la dinamicità ascendente che dal dopoguerra in poi ha dato vita al nostro ceto medio) e il "sistema Italia" è tutt'altro che in moto. Il piano su cui l'hanno spinto, prima la crisi e poi le politiche economiche "lacrime e sangue", ha cambiato solo impercettibilmente la sua inclinazione verso il basso e il deterioramento economico, pur in miglioramento, si sposa con quello politico, decisamente in peggioramento.
Non stupisce, quindi, che il clima sociale risulti ben al di sotto della sufficienza, perché queste categorie di cittadini sono quelle che hanno pagato il prezzo più alto alla crisi. Basato su dodici indicatori (la fiducia nel governo, nel parlamento, nei partiti, nei sindacati, nella magistratura, sulle prospettive e sulla situazione economica dell’Italia e della propria famiglia attuale, sulle attese sul mercato del lavoro, sul bilancio familiare e sullo standard di consumi) e su una scala 100-1 (dove 100 indica un clima molto positivo e 1 molto negativo), il clima sociale mostra un calo in tutte le categorie prese in considerazione: tra i lavoratori dipendenti e a tempo indeterminato l’indice è passato dai 40 punti del periodo aprile-giugno 2014 ai 31 dello stesso periodo del 2015. Tra i lavoratori precari da 39 a 24, tra i pensionati da 44 a 29, tra i disoccupati da 40 a 21, tra chi ha redditi inferiori a mille euro da 38 a 22 e tra i giovani di età compresa tra i 18 e 29 anni da 46 a 32.
La ricerca rileva il miglioramento della situazione economica generale, ma sembra più un "percepito intorno" piuttosto che un vissuto reale e i giudizi al riguardo rimangono, nel complesso, negativi. E se, anziché alla condizione del Paese in generale, si guarda a quella personale della famiglia, i giudizi peggiorano e i pur lievi miglioramenti cadono in una linea pressoché piatta. Per quasi tutte le categorie in cui si articola l'indagine i giudizi viaggiano al di sotto dei 30 punti (quindi in territorio molto negativo) segno che per la maggior parte delle famiglie italiane non si sono verificati i miglioramenti economici sperati. Solo tra i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e tra i lavoratori precari si riscontra un giudizio migliore rispetto a un anno fa.
Neanche il futuro dà speranze: in questo caso i giudizi rimangono sostanzialmente stabili ai livelli dell'anno scorso, con leggeri miglioramenti o peggioramenti a seconda delle categorie. A riporre meno fiducia nel futuro sono i disoccupati e gli italiani con un reddito inferiore ai mille euro, mentre risultano più ottimisti i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e i giovani.
Le attese sull’occupazione mostrano, ovviamente andamenti nettamente discordanti. Nonostante tutti le componenti indichino comunque una sorta di pessimismo, l’indice segnala miglioramenti per tutte le categorie, tranne che per i disoccupati (dai 33 punti di aprile-giugno 2014 ai 30 dello stesso periodo del 2015), cioè la categoria che rappresenta l'indicatore sensibile delle politiche del lavoro. Gli indici esaminati finora confermano il fatto che, rispetto a dodici mesi fa, gli italiani hanno perso fiducia sulle politiche economiche del governo. Non è un caso, infatti, che, mentre un anno fa la fiducia rasentava (e tra i disoccupati addirittura superava) i 50 punti che delimitano i giudizi negativi (1) da quelli positivi (100), oggi viaggiano tutti al di sotto dei 40 punti, attestandosi nella maggior parte dei casi poco al di sopra dei 30 (33 punti tra i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, 32 tra i precari, 31 tra i disoccupati i giovani e tra chi ha un reddito inferiore ai mille euro).
In particolare, la riforma del mercato del lavoro viene giudicata positivamente da meno di un quinto degli intervistati (solo il 16,4% dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, il 22,7% dei pensionati, il 14,3% di chi ha redditi inferiori ai mille euro, il 16,4% dei giovani, il 17% dei disoccupati e il 18,6% dei lavoratori precari). Quella della scuola viene giudicata positivamente da meno di due italiani su dieci (l’11,5% dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, il 18,7% dei pensionati, il 6,9% di chi a redditi inferiori ai mille euro, l’8,5% dei giovani, l’8,8% dei disoccupati e il 9,6% dei lavoratori precari.
Sostanzialmente stabili, e su livelli prossimi alla sufficienza, i giudizi sulla Cgil, che ottiene il picco di consensi nell'ultimo trimestre del 2014, in coincidenza con la mobilitazione di ottobre scorso.
L'appuntamento adesso è a ottobre, quando saranno presentati i dati del trimestre relativo ai mesi di luglio, agosto e settembre.
* Presidente di Tecnè