Tra le parole che più girano nel circolo ancora ristretto del “nuovo giornalismo” italiano c’è quella del factcheking. Si tratta di una pratica indipendente – che comincia a essere abbastanza diffusa negli States – che si dà come obiettivo la verifica puntuale, scrupolosa dei “fatti” che vengono enunciati in un articolo, nel discorso pubblico di un uomo politico, in documenti ufficiali e così via. Insomma, i factchekers sono giornalisti e cittadini che, ogni volta che si enuncia un fatto – dunque non un’opinione –, si mettono con scrupolo a verificare la verità di ciò che si dice.

Il factcheking ha dunque a che vedere con due aspetti cruciali del contesto in cui oggi operano i media: la partecipazione e la qualità dell’informazione in un mondo in cui proliferano le notizie e i soggetti che le producono. Alcuni degli esempi più interessanti, come detto, si trovano negli Stati Uniti. Sul sito indipendente di FactCheck.org (che si regge soprattutto grazie alle donazioni) si può leggere un factchecking sulle falsità in materia di sicurezza sociale sostenute da alcuni Repubblicani di primo piano (tra cui Bachmann e Perry) a un recente Tea Party in Florida sui costi della sicurezza sociale. Poi si può citare www.politifact.com, vincitore del Pulitzer del 2009 per lo straordinario lavoro fatto sulle presidenziali americane del 2008: i suoi reporter hanno verificato la veridicità di più di 750 discorsi politici pronunciati dai candidati. Per conoscere tecniche e modalità, si può ascoltare su Youtube il direttore del sito, Bill Adair. Ormai anche colossi come il Washington Post ha, nel sito, una sezione di Factchecking.

Pure in Italia inizia a muoversi qualcosa. Sergio Maistrello ha fondato nel 2009 FactCheck.it, progetto indipendente e autofinanziato, che per ora è solo un osservatorio spontaneo e, come si legge nel sito, “un blocknotes condiviso” che aggrega contributi, studi, stimolazioni sul tema e segnala esperimenti di factchecking italiani. Per esempio un esperimento realizzato su un’intervista dello scorso anno di Fabio fazio con Nichi Vendola e poi con Franco Frattini. Lo screening puntuale effettuato su dati e fatti citati dai politici rivela numerose inesattezze, che però difficilmente un giornalista, per quanto serio e preparato sugli argomenti trattati, sarebbe in grado di rilevare in diretta. Ancora più interessante, però, è il fatto che all’articolo lungo e minuzioso seguono i post degli utenti della rete che intervengono segnalando altre imprecisioni, approfondendo le “ragione” di un errore (che magari deriva dall’utilizzo anche inconsapevole di una fonte sbagliata) o supportando con altri documenti le analisi dell’estensore dell’articolo.

Intorno al factchecking, insomma, si possono creare comunità di giornalisti e cittadini avvertiti e consapevoli del fatto che la qualità dell’informazione – e di larga parte del discorso pubblico – si fonda sulla veridicità e verificabilità dei fatti. Con una piccola provocazione, in effetti, l’incontro sul tema che si è svolto a Perugia lo scorso aprile al Festival del giornalismo si intitolava: “Factchecking, il giornalismo che si ferma ai fatti”.