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Ikea ha fatto mea culpa. Il gigante svedese, dopo aver commissionato un rapporto indipendente alla società Ernst & Young, ha oggi ammesso, scusandosi pubblicamente, di aver usato in passato prigionieri politici dell'ex Germania est, la Ddr, per fabbricare alcuni dei prodotti poi messi in commercio, durante gli anni '70 e '80 . “Ci rincresce profondamente che ciò sia potuto accadere”, ha dichiarato Jeannette Skjelmose, responsabile Ikea per la sostenibilità, che ha poi aggiunto: “Usare i prigionieri politici per la produzione non è mai stata un'idea accettata dal Gruppo Ikea”.
Tuttavia, per far venire alla luce la vicenda è servita la denuncia di alcuni ex dissidenti della Germania orientale, che lo scorso anno in televisione avevano riferito di aver dovuto realizzare prodotti per Ikea nei laboratori del carcere quando erano detenuti. Chi si rifiutava veniva minacciato di venir messo in isolamento. E alcuni manager dell'Ikea, riferisce il rapporto di E&J, erano al corrente di quanto stesse accadendo nelle fabbriche tedesche, certamente almeno dal 1981.
La collaborazione tra Ikea e la Repubblica democratica tedesca – come ha svelato un'inchiesta del primo canale pubblico tedesco Wdr - era stata particolarmente proficua negli anni Settanta, quando nel paese comunista vennero aperti diversi stabilimenti di produzione. Uno di questi, quello di Waldheim - secondo gli archivi della Stasi consultati dai giornalisti tedeschi - era situato nei pressi di una prigione, dove erano rinchiusi numerosi prigionieri politici, costretti a lavorare senza remunerazione e in condizioni durissime.
Sempra dagli archivi della Stasi era emerso anche che, Ingvar Kamprad, il fondatore di Ikea, aveva detto di non essere a conoscenza del ricorso al lavoro di detenuti nelle sue fabbriche.
E secondo un'altra inchiesta tedesca, questa volta della Frankfurter Allgmeine Zeitung, Ikea si sarebbe servita di nuovo, in tempi più recenti, del lavoro forzato di detenuti politici, questa volta a Cuba, negli anni '80.
Ora, dopo l'ammissione e le scuse, Ikea, nel tentativo di riparare, ha annunciato che darà un contributo finanziario ad un progetto di ricerca sul lavoro forzato nell'ex Germania orientale, portato avanti da un gruppo tedesco, l'Ukog (Unione delle organizzazioni delle vittime del dispotismo comunista). Al momento sono in corso trattative sull'entità del contributo.
Intanto, lo studio di Ikea, solo in parte reso pubblico per ragioni di privacy, è stato duramente criticato dall'associazione delle vittime della Ddr, secondo cui le ricerche effettuate non rispetterebbero i crismi di un'analisi storica. Inoltre non sono state condotte da esperti, ma dalla società di consulenza Ernst&Young, “forse addirittura dietro pagamento”, ha attaccato il vicepresidente dell'associazione, Roland Schulz, secondo cui quello messo in scena oggi è stato uno “show”.