Il camper è partito il 6 luglio all’alba e attraverserà l’intera penisola nell’arco di due anni, cercando di volta in volta di prestare assistenza sindacale, legale e medica ai “nuovi schiavi” dell’agricoltura. È l’ultima iniziativa Flai in difesa della legalità: nella fattispecie dei lavoratori stagionali, di origine straniera, principalmente extracomunitari, coinvolti nelle grandi campagne di raccolta, senza contratto, malpagati, privi di diritti e tutele, praticamente invisibili e vittime di caporali senza scrupoli. Da qui il titolo del progetto (“Gli invisibili delle campagne di raccolta”), messo a punto in collaborazione con Cgil e patronato Inca, contro lo sfruttamento dei lavoratori e la diffusa illegalità nei metodi di assunzione e nelle condizioni di vita degli stessi addetti.

Secondo le stime Cgil, si tratta di almeno 80.000 persone, provenienti quasi tutti dall’Africa (Senegal, Costa d’Avorio, Ciad, Sudan, Burkina Faso, Egitto, Tunisia, Libia, Marocco), impegnati nei mesi estivi nelle campagne del nostro paese. “Sono anni ormai che denunciamo episodi di sfruttamento – afferma Gino Rotella, della segreteria nazionale Flai Cgil – e proponiamo interventi di contrasto ad atti di vero e proprio schiavismo nella campagne di tutto il paese. Nei periodi delle grandi raccolte si assiste alla deregolamentazione più completa non solo dei contratti di lavoro, ma vengono a mancare anche le più basilari norme di civiltà”.

Le condizioni in cui si trovano a dover lavorare e a vivere queste persone sono vergognose per un paese civile, a partire dal mancato rispetto dei contratti: “Al nero – specifica Rotella –, senza una paga adeguata, senza orari, senza sicurezza, obbligati a comperare il trasporto dal caporale che li obbliga ad acquistare da lui il cibo e l’acqua per nutrirsi. Per non dire della mancanza di rispetto della dignità umana, essendo abbandonati e rinchiusi in campi che si possono definire di sfruttamento, in cui sono assenti le più basilari strutture igieniche, dai bagni all’acqua corrente, all’elettricità, privi di letti su cui riposare, dove la violenza la fa da padrona e la costrizione alla prostituzione per le donne, ancora più umiliate in quanto più deboli, è all’ordine del giorno”.

Dopo l’esperienza degli anni scorsi del sindacato di strada e poi la lotta per vedere approvata la normativa che ha fatto diventare reato penale il capolarato, il sindacato agroalimentare della Cgil si impegna ora in un progetto nazionale che vuole dare un aiuto a 360 gradi ai migranti, attraverso l’utilizzo di camper attrezzati a loro disposizione (20 giorni per singola area di raccolta, con la cadenza di tre volte a settimana). “I nostri funzionari – spiega ancora Rotella – accompagneranno gli automezzi assieme a medici e avvocati, oltre che a esponenti del patronato e del sistema fiscale per poter dare risposte complete alle diverse esigenze e difficoltà di queste persone, che vanno dall’assistenza sanitaria alla necessità di trovare degli alloggi adeguati, al riconoscimento dei loro diritti in qualità di esseri umani e di lavoratori”.

Al termine del periodo dedicato a ogni territorio, il sindacato coinvolgerà le amministrazioni locali e le associazioni professionali, al fine di presentare una lettera d’intenti comune per arrivare a una soluzione condivisa delle problematiche emerse. La campagna toccherà varie località del paese ad alta densità agricola, dalle isole al Nord, laddove la maggior parte dei migranti è impegnata nelle attività stagionali di raccolta, come le angurie in Salento e i pomodori nella Capitanata (luglio 2012), le arance e i limoni nella piana di Gioia Tauro e Rosarno (ottobre 2012), le mele in Trentino e Alto Adige (novembre 2012), patate e agrumi nel Siracusano e Ragusano (luglio 2013), pesche e ortaggi in Campania (agosto 2013), fino all’uva in Veneto (ottobre 2013). Prima tappa individuata, l’area di Nardò, in provincia di Lecce (scenario, lo scorso anno, del primo sciopero dei migranti), che nello specifico comprende i territori di Galatina, Seclì, Copertino, Leverano, Veglie e Porto Cesareo. Lungo i 2.100 ettari di terreno adibiti a coltivazioni, da giugno a settembre nel territorio si registra un incremento della presenza di lavoratori (per quasi il 90 per cento extracomunitari), pari ad almeno 800 unità (ma quest’anno si denota per la prima volta un calo del 30 per cento), che vanno a sommarsi ai lavoratori stanziali.

Malgrado la moltitudine di persone, le assunzioni per l’attività di raccolta, stando ai dati Flai, risultano addirittura in diminuzione nel periodo estivo, rispetto alla media annua, con almeno i due terzi delle aziende agricole locali ufficialmente assenti in quanto a comunicazioni di assunzioni di manodopera extracomunitaria presso il centro per l’impiego; solo il 5 per cento della forza lavoro straniera ha un regolare contratto, mentre la quasi totalità ha una tariffa non sindacale, una sorta di sottosalario, nella migliore delle ipotesi equivalente al 60 per cento della paga regolare prevista; il 95 per cento di questi lavoratori non ha un regolare contratto e riceve una paga giornaliera al di fuori di ogni regola salariale. La stessa percentuale di addetti deve sottostare all’intermediazione illecita di manodopera e i titolari delle aziende agricole incrociano tale tipologia di lavoratori esclusivamente attraverso i caporali, essi stessi extracomunitari, i quali risultano invece regolarmente assunti (poche decine in tutto) dalle stesse aziende.

Spostando la lente d’ingrandimento alla provincia di Lecce, sempre le statistiche Flai rivelano che quasi la metà degli imprenditori agricoli si affida ai caporali per reperire manodopera non specializzata extracomunitaria. Le stesse aziende si rivolgono anche a lavoratori locali per lavori specializzati e non stagionali: il loro reclutamento è gestito, seppure in modo blando, a forme riconducibili al capolarato, dai cosiddetti fattori o caposquadra, tutti operai agricoli del posto. In ogni caso, anche in presenza di assunzione regolare, il 94,6 per cento dei braccianti agricoli, sia locali che migranti, subiscono il fenomeno del sottosalario.

“Dopo aver raggiunto dei risultati molto importanti nel Salento per la legalità nel lavoro in agricoltura, per i diritti dei migranti e per l’accoglienza – osserva Rotella –, oggi assistiamo a uno sconcertante arretramento: quest’anno i lavoratori non si vedono e non perché non ci sono, ma perché alcune istituzioni del territorio hanno deciso di non vedere. Sono visibilissimi ai caporali, alle aziende che li sfruttano, ma non sono visti dalle autorità, dai prefetti, dalle istituzioni, dal mondo imprenditoriale con cui vogliamo interloquire per risolvere le questioni che gli immigrati pongono”.

Le critiche della Flai si appuntano in particolare sulla Coldiretti: “L’associazione datoriale – sottolinea il dirigente nazionale della federazione degli agroalimentaristi Cgil – parla di crisi, ma poi si contraddice, rendendo pubblici dati che indicano nell’agricoltura l’unico settore in netta controtendenza sul mercato italiano: più 4,9 per cento del Pil e più 7 per cento relativamente alle attività di export”. Il sindacato di categoria locale ha stigmatizzato nei giorni scorsi la chiusura di Boncuri, l’ex masseria di Nardò adibita dall’amministrazione comunale, con l’ausilio fondi regionali, a centro d’accoglienza per 150 migranti, che l’anno scorso aveva raggiunto una capienza di 500 persone grazie alla tendopoli messa in piedi dalla Protezione civile.

“Il quadro è drammatico e in piena emergenza – denuncia Antonio Gagliardi, segretario Flai di Lecce –, perché l’assenza di una struttura attrezzata ha determinato il pieno proliferare di caporali che agiscono indisturbati su tutta l’area, non essendoci più alcun filtro di controllo da parte delle autorità. Nel frattempo, si è creato un campo clandestino assolutamente inadeguato, dove sono presenti 200 migranti che dispongono di un’unica cisterna d’acqua e di sei bagni chimici fatti installare dal sindaco di Nardò: una situazione invivibile, cui stiamo cercando di porre rimedio”.