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La nostra categoria è affannata, come tutte le altre, intorno a casse in deroga, licenziamenti e tagli alle risorse. Ma pure noi ci siamo accorti che, a fronte del disastro occupazionale, anche le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici che non sono a rischio del proprio posto di lavoro sono estremamente peggiorate. È quindi necessario rimettere con forza le mani nello specifico delle condizioni di lavoro, evitando che i diritti connessi si attenuino o vengano cancellati.
Iniziamo dall’Europa. Le normative comunitarie si occupano molto del tema della sicurezza nei trasporti, disciplinando con regolamenti specifici (molto puntuali e oggetto di costante aggiornamento) come deve essere effettuata l’attività nelle varie modalità merci e viaggiatori. Non altrettanto si può dire della salute e sicurezza dei lavoratori dei trasporti, poiché sono in vigore numerosissime deroghe alle norme generali europee sul lavoro. Un esempio? Abbiamo orari di 48 ore settimanali di media, con facoltà di arrivare a 60 ore, oppure orari contrattuali nelle attività discontinue fino a 47 ore settimanali e orari di fatto certamente lunghi e faticosi, che ormai non riguardano più il solo personale mobile.
Per venire alla situazione italiana, in molti dei nostri settori anche il decreto legislativo 81/2008 stenta a essere applicato: siamo da anni in attesa di una legge delega che consenta anche alla normativa specifica sulla sicurezza dei settori dei portuali, dei marittimi e dei ferrovieri, di coordinarsi con il Testo unico attraverso la profonda e necessaria modificazione delle leggi che regolano oggi la salute e sicurezza nei singoli settori. Il Testo Unico va completato, e le norme di coordinamento debbono diventare parte integrante del sistema di tutele destinato al resto del mondo del lavoro. I lavoratori dei trasporti, proprio perché svolgono la loro attività su un luogo di lavoro “mobile”, quindi non tradizionale, non debbono avere, sul piano normativo, minori tutele. Dopo oltre sei anni di attesa, ulteriori rinvii appaiono inaccettabili: crediamo, quindi, che il governo debba affrontare la questione.
La crisi, dicevo all’inizio, ha prodotto, oltre alla perdita dei posti di lavoro, un peggioramento delle condizioni di lavoro, con conseguenti aumenti dei ritmi, riduzione di pause, incremento dei carichi, incidendo fortemente sui fattori di stress. La competizione selvaggia e la riduzione delle risorse riguarda tutti i comparti, e anche nei settori storicamente più protetti si richiedono maggiore produttività e più sacrifici. Una campagna del sindacato unitario europeo dei trasporti lanciata qualche anno fa diceva: “la fatica uccide”. Noi registriamo oltre 30 mila infortuni e 80 morti l’anno: la metà di questi decessi li ritroviamo nell’autotrasporto (e nella logistica), che risulta essere il comparto più gravato dalla competizione globale, e che vede i camionisti, provenienti in particolare dall’Europa dell’Est, lavorare senza regole. In più abbiamo il fenomeno delle malattie professionali totalmente sottostimato, rispetto agli oggettivi rischi che ne determinano la comparsa.
Occorre affrontare il tema dei controlli ispettivi istituzionali, che sono sicuramente più difficili da effettuare trattandosi di lavoratori “in movimento”, che non operano in luoghi di lavoro tradizionali. Per questa ragione, ma non solo, queste verifiche sono insufficienti e inadeguate rispetto a un contesto che si sta aggravando. Come ben spiegano gli indici di gravità e di frequenza degli infortuni, che permangono elevatissimi, a dimostrazione che il calo degli incidenti è rapportabile prevalentemente al calo delle attività.
Una riflessione più puntuale merita il tema della “solitudine” degli Rls. Il primo impegno è quello di superare la separatezza tra ruolo sindacale e ruolo degli Rls, che in troppi casi appare evidente. È necessario rafforzare il ruolo e la presenza degli Rls in tutte le aziende, prevedendo una modalità coordinata e sinergica di esercizio delle relative attività con il ruolo di contrattazione. D’altra parte, il Testo Unico pone l’organizzazione del lavoro tra gli elementi di valutazione del rischio, quindi solo una sede negoziale efficace è la risposta ai problemi organizzativi che si riflettono negativamente sulle condizioni di lavoro. Diventa importante quindi valorizzare quanto di buono è stato realizzato in contrattazione nei diversi contesti, attraverso l’esercizio di buone pratiche che bisogna rapidamente socializzare e riprodurre.
In questo senso, infine, va sottolineato l’accordo del settore portuale che ha istituito il Rappresentante di sito (Rlst) per tutta l’area della movimentazione delle merci, dalla nave alla banchina, un luogo che sappiamo essere molto pericoloso. Stiamo lavorando, come categoria, per estendere questo sistema di rappresentanza anche negli altri settori, quali gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e gli interporti: incontriamo qualche difficoltà, seppure i nostri contratti ormai li prevedano esplicitamente, e la crisi in corso sicuramente non ci aiuta.
*segretario nazionale Filt Cgil