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La voce del mondo contemporaneo è arrivata in laguna per la 70esima edizione del Festival del cinema di Venezia. Quest’anno, più che mai, la Mostra diretta da Alberto Barbera è stata percorsa con forza dai temi del lavoro, politici e sociali. Un filo rosso ha unito tutte le sezioni nel segno di un’esigenza comune: portare in sala i volti dell’attualità, riflettere sui problemi dell’oggi. A cominciare dal Leone d’oro, assegnato dalla giuria di Bernardo Bertolucci a Sacro GRA di Gianfranco Rosi. Il regista ha percorso in camper il Grande Raccordo Anulare di Roma, raccogliendo storie di periferia, povertà e speranza che riguardano noi tutti. Il documentario segue un lavoratore del pronto soccorso assegnato al turno di notte, costretto a intervenire negli incidenti stradali per salvare le vite dei feriti. Con lui ci sono poveri, nobili decaduti, attori falliti e prostitute che vanno a comporre un quadro della capitale da una prospettiva nuova e peculiare.
Gianni Amelio ha presentato in Concorso un film centrato sul lavoro: L’intrepido con protagonista Antonio Albanese, che sostituisce le persone assenti dal posto di lavoro anche per pochi minuti. In attesa di trovare un impiego è un precario in un mondo di precari, un “sostituto” degli altri che aspetta una vera assunzione. Restando nella nostra penisola, Daniele Gaglianone ha portato La mia classe nella sezione Giornate degli Autori: è la storia di un maestro (Valerio Mastandrea) nel quartiere romano del Pigneto, che insegna italiano in una scuola serale per stranieri adulti.
Un altro migrante è protagonista del film di Andrea Segre intitolato La prima neve. L’autore di Io sono Li stavolta racconta una storia ambientata nella Valle dei Mocheni in Trentino: Dani, straniero sbarcato dal Togo sulle nostre coste, incontra Michele, un bambino di 11 anni. Dani ha perso la moglie durante la drammatica traversata, Michele ha affrontato la morte del padre: due perdite gemelle che si riflettono tra loro, disegnando un graduale avvicinamento tra il giovane trentino e l’africano. Oltre alla trama – però – il vero punto del film è la metafora che sottintende, la possibilità di convivenza tra l’italiano e lo straniero, la speranza di un “melting pot” costruito a casa nostra. Nel cuore del Nord Italia, alla faccia della cattiva coscienza leghista.
Ma il Festival, come sempre, lancia anche uno sguardo all’estero per indagare i problemi fuori dai confini: ecco allora la questione palestinese in Ana Arabia di Amos Gitai, con una giornalista inviata tra Jaffa e Bat Yam, zona dove israeliani e palestinesi vivono insieme. Dagli Stati Uniti è stato apprezzato Night Moves della regista Kelly Reichardt, la storia di tre ambientalisti che fanno saltare una diga industriale. Ma qual è il confine tra il lecito attivismo verde e la violazione della legge? E’ il dubbio che aleggia tra le pieghe del film, convincente incursione su una questione complessa, piena di punti interrogativi e lontana dalle facili risposte. Allo stesso modo The Unknown Known di Errol Morris, una lunga intervista a Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa di Bush che pianificò l’invasione dell’Iraq. Il politico, una sorta di Andreotti col vizio della guerra, non nasconde nulla, difende le sue scelte inquietanti, dispensa frasi che restano impresse.
Dall’Ucraina molto applaudito Ukraine is not a Brothel di Kitty Green, documentario sulla genesi e il pensiero del movimento delle Femen, che ha portato le attiviste femministe a intervenire al Lido. Un festival contemporaneo, come detto. E certamente attuale è il film inchiesta Schiavi di Stefano Mencherini (sezione Giornate degli Autori), coprodotto da Flai Cgil e Less onlus di Napoli. Il giornalista e regista Rai ha denunciato gli sperperi e il fallimento dell’emergenza immigrazione dal Nord Africa: decine di migliaia di migranti, arrivati in Italia sperando in condizioni migliori, che sono finiti nella rete del caporalato, il nuovo schiavismo del mondo del lavoro.