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Il mondo del lavoro, le rivolte negli Stati arabi, la Storia contemporanea dalla seconda guerra mondiale alle vicende di Israele. E ancora la situazione italiana, dalla condizione della donna al problema della droga, passando per la realtà complessa dell’oggi segnato dalla crisi. C’è tanto cinema sociale, anche quest’anno, al Festival di Venezia. La 72esima edizione della Mostra, diretta da Alberto Barbera, si tiene dal 2 al 12 settembre nella classica cornice del Lido. Con una pre-apertura di lusso: l’1 settembre si festeggia il centenario della nascita di Orson Welles con la proiezione di due film restaurati in anteprima mondiale, Il mercante di Venezia e Otello.
Il concorso offre quattro titoli italiani in corsa per il Leone d’oro. Per amor vostro di Giuseppe Gaudino è la storia di una donna (Valeria Golino) che vive in tono minore, è suggeritrice in un canale televisivo, finché non trova un lavoro stabile e inizia un percorso di riscatto. L’esordiente Piero Messina ci prova con L’attesa, intreccio onirico ambientato in Sicilia con la presenza “pesante” di Juliette Binoche. A bigger splash è il titolo di Luca Guadagnino che segue la vita di un’icona rock (Tilda Swinton). Il più quotato è però il maestro conclamato Marco Bellocchio, che torna in gara con Sangue del mio sangue: nel Seicento una suora tenta di sedurre un giovane uomo e viene murata viva nelle prigioni di Bobbio.
La competizione, come detto, percorre la Storia di ieri e quella di oggi. Il canadese di origine armena Atom Egoyan presenta Remember: il protagonista Zev scopre che l’aguzzino nazista che ha ucciso la sua famiglia è ancora vivo e abita negli Usa, sotto falsa identità. Una pagina più recente ci porta al 4 novembre 1995: il giorno dell’omicidio del primo ministro israeliano, Yitzhak Rabin, al termine di un comizio a Tel Aviv. Vent’anni dopo la sua morte viene ricostruita in Rabin, the last day di Amos Gitai, l’autore di punta del cinema israeliano che gira un lungo thriller politico (153 minuti) alternando ricostruzione di finzione a materiali di repertorio. Attenzione poi al turco Frenzy di Emin Alper, storia di un uomo in una Istanbul agitata da tensioni politiche.
Il concorso perlustra molte latitudini: da segnalare almeno Behemoth di Zhao Liang, viaggio documentario tra i minatori della Cina, e Beasts of No Nation di Cary Fukunaga, storia di Agu, bambino soldato in Africa strappato alla famiglia per combattere una guerra civile. Tornando nella società occidentale, un altro titolo rilevante è The Danish Girl di Tom Hooper: il regista de Il discorso del re racconta qui la storia dell’artista Lili Elbe, che decise di cambiare sesso e diventare donna, ricordato come il primo transessuale nella storia. E soprattutto c’è Aleksandr Sokurov: il maestro del cinema russo, già Leone 2011 per Faust, arriverà in laguna con Francofonia. E’ la storia dell’occupazione nazista del Louvre, girata proprio dentro il museo, tra filologia e trasfigurazione: già circolano le immagini del “fantasma” di Napoleone che osserva i dipinti che lo ritraggono...
Il Leone 2015 sarà assegnato dalla giuria di Alfonso Cuarón. Il presidente è il regista di Gravity che vinse 7 Oscar, messicano trapiantato a Hollywood, vertice dell’industria americana ma in grado di apprezzare il cinema d’autore, come dimostra la fantascienza intelligente del suo ultimo film. E’ una possibile indicazione nel gioco dei premi. Ma Venezia, come sempre, non è solo la sfida principale. Tante pellicole da segnalare nelle sezioni collaterali: tra queste I ricordi del fiume di Gianluca e Massimiliano De Serio, che raccontano la realtà del Plat a Torino, una delle baraccopoli più grandi d’Europa su cui si abbatte il piano di smantellamento, lasciando i migranti per le strade. Andrea Segre, già regista sociale di Io sono Li, osserva il boom del Kazakistan ne I sogni del lago salato (Giornate degli autori) passato anche a Locarno. Dito Montiel inscena il trauma di guerra di militare dopo l’Afghanistan in Man Down (sezione Orizzonti). Il cortometraggio E.T.E.R.N.I.T. di Giovanni Aloi entra nella fabbrica dell’amianto, un altro “mostro” delle cronache di oggi. Il maggiore documentarista vivente, Frederick Wiseman, ci regala In Jackson Heights, incursione nello storico quartiere indiano del Queens a New York.
Infine, il momento più struggente del Festival sarà la presentazione fuori concorso di Non essere cattivo, il film postumo di Claudio Caligari. Il regista di Amore tossico, scomparso lo scorso 26 maggio a 67 anni, racconta la storia di Cesare e Vittorio, due amici negli anni ’90 che si districano tra piccoli crimini, spaccio, droga e una rapina che ne segna i destini. Un intreccio nelle corde del cineasta piemontese, ultimo underground italiano e narratore di realtà scomode e irraccontabili, grande rimosso del nostro cinema: proprio gli anni ’90, ha detto Caligari, “è il momento in cui muore il mondo pasoliniano (...). Da allora si diffondono le droghe sintetiche, si ruba non solo per farsi, ma per accumulare, comprare lusso, Rolex, macchine potenti, scarpe griffate: gli ‘accattoni’ sono entrati nella malavita organizzata, hanno assunto i valori borghesi dei soldi e del consumismo”. Il suo film, con un atto simbolico del festival, avrebbe meritato il concorso.