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Si apre oggi (martedì 19 dicembre) al Palagiustizia di Torino uno dei quattro processi “Eternit bis” (gli altri sono a Napoli, Reggio Emilia e Vercelli) sulle 258 morti provocate dall'amianto negli stabilimenti italiani Eternit e nei territori limitrofi. Unico imputato è il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, ex amministratore delegato di Eternit Italia, accusato di omicidio colposo per il decesso di due operai dello stabilimento di Cavagnolo (Torino), entrambi uccisi dal mesotelioma. Schmidheiny è stato già condannato in appello a Torino a 18 anni di carcere per il reato di disastro ambientale, dichiarato poi prescritto in Cassazione nel novembre 2014.
Mercoledì 13 dicembre la Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Torino e della Procura generale del Piemonte contro la decisione del gup Federica Bompieri di declassare il capo d’imputazione da omicidio volontario a omicidio colposo, e di dividere il maxi-processo in quattro differenti tronconi. A Vercelli spetta la competenza di procedere per 243 vittime (tutte del territorio di Casale Monferrato), Reggio Emilia deve occuparsi di due morti legate allo stabilimento di Rubiera, mentre Napoli degli otto decessi dello stabilimento di Bagnoli.
“La Cgil nazionale e le sue strutture territoriali saranno, come sempre, a fianco dell’Associazione familiari e vittime amianto, dei lavoratori della Eternit e delle loro famiglie, affinché questo ennesimo processo possa giungere all’affermazione della responsabilità, anche sul piano penale, di chi ha seminato tanto dolore”. A dirlo è il responsabile della Cgil nazionale per le Politiche dell’amianto e delle bonifiche Claudio Iannilli, esprimendo l’augurio che “nel capoluogo piemontese, come negli altri tre uffici giudiziari in cui verrà perseguito l’ex amministratore delegato Schmidheiny, la giustizia possa fare integralmente il suo corso e infliggere all’imputato una esemplare condanna, formale e non solo morale”.
La decisione della Cassazione di declassare a omicidio colposo il capo di imputazione a carico di Schmidheiny nel processo Eternit bis, e di confermare lo “spacchettamento” del processo in quattro differenti procedimenti giudiziari, non è piaciuta alla Cgil. “Questa decisione – riprende Iannilli – significa non garantire che sia fatta pienamente giustizia per la morte di centinaia e centinaia di persone e lavoratori, avvenuta in nome del profitto. E spezzettare il processo comporta l'ulteriore allungamento dei tempi, con il rischio della prescrizione”.
Il responsabile amianto della Cgil nazionale ricorda che “nel nostro Paese ogni anno muoiono circa 3 mila lavoratori e cittadini di mesotelioma, ed è un numero destinato a crescere. Una strage che non può rimanere impunita”. Per questo motivo, conclude Iannilli, è “inaccettabile che nella legge di bilancio non si preveda lo stanziamento di risorse per eliminare l'amianto. Siamo un Paese in cui non si fanno discariche né bonifiche, mentre nelle scuole e negli edifici, pubblici e non, ancora oggi c'è una forte presenza di questo pericoloso materiale”.
LE TAPPE DEL PROCESSO
La storia del processo Eternit bis comincia nel maggio 2015, con unico imputato Stephan Schmidheiny, già condannato dalla Corte d'Appello di Torino a 18 anni di carcere per disastro, ma poi prosciolto in Cassazione per prescrizione del reato. Dopo la decisione della Suprema Corte, che non riguardava i casi di morte per amianto, il pm Raffaele Guariniello decise di avviare una nuova inchiesta per omicidio doloso aggravato in relazione ai decessi di 258 persone, tra ex lavoratori e residenti, morti tra il 1989 e il 2014 per mesotelioma pleurico causato dall'amianto.
Nel corso dell'udienza preliminare, a giugno 2015, i legali di Schmidheiny avanzarono al giudice la richiesta di annullamento del processo, in quanto secondo il principio del “ne bis in idem” non si può essere processati due volte per lo stesso fatto. Il gup Federica Bompieri decise allora di inviare gli atti ai giudici della Corte Costituzionale: il verdetto della Consulta arrivò nel luglio 2016 con la dichiarazione della “illegittimità costituzionale dell'articolo 649 del Codice di procedura penale, nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale”. In sostanza, dunque, almeno per le morti avvenute dopo la chiusura del primo processo non si può applicare il “ne bis in idem”.
In autunno, dunque, riprese l'udienza preliminare, con la difesa Schmidheiny che chiese il proscioglimento dell'imputato per “insussistenza di colpa e dolo”. Il gup di Torino, il 29 novembre 2016, non accolse la richiesta di proscioglimento ma derubricò l'accusa da omicidio volontario a colposo. Di conseguenza il procedimento a carico dell'imprenditore svizzero viene “spezzettato” in quattro diversi tribunali: Torino, Reggio Emilia, Napoli e Vercelli (quest'ultimo competente per la sede di Casale Monferrato, la cittadina dell'alessandrino che ha pagato il prezzo più alto per le morti di amianto), poiché, venendo meno l'ipotesi dolosa, cade anche la formula di continuazione del reato.
Nel gennaio scorso, la pronuncia del gup è stata impugnata in Cassazione dalla Procura generale di Torino e dal pm Gianfranco Colace (titolare del fascicolo da quando Guariniello è andato in pensione). Il 13 dicembre la sentenza, che ha decretato l'inammissibilità dei ricorsi. I procedimenti, già incardinati nei tribunali di Vercelli, Torino, Napoli e Reggio Emilia, ora andranno avanti, ma secondo i legali di parte civile, però, molti degli episodi contestati potrebbero già essere prescritti.