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“All’indomani della Giornata mondiale della libertà di stampa, rilevo che siamo molto indietro in materia d’informazione nel nostro Paese. Stiamo assistendo a processi di concentrazione di grandi gruppi editoriali – come Rizzoli-Mondadori e Repubblica-Stampa -, che possono provocare rischi sul pluralismo dell'informazione. Nel contempo, non si vede un'azione significativa sul tema della tutela dell'editoria no profit e sull'emittenza locale da parte del governo”. Così Massimo Cestaro, segretario generale Slc, stamattina ai microfoni di Italia parla, la rubrica di RadioArticolo1 (ascolta il podcast integrale).
“Proprio in queste ore – ha affermato il dirigente sindacale –, è in corso una discussione in Parlamento sulla legge sull'editoria, che non protegge sufficientemente il pluralismo dell'informazione, che non vuol dire quanti minuti hanno a disposizione le forze politiche all'interno dei telegiornali nazionali, ma è una cosa molto più vasta: il nostro è un Paese di comuni, d’identità territoriali assai forti, e su tale versante l'emittenza locale svolge un ruolo importante. Avremmo bisogno che accanto ai processi di concentrazione vi fosse anche un'azione di Governo e Parlamento per tutelare le altre voci dell’informazione”.
“Alla Rai c'è fermento – ha rilevato il leader Slc –, dopo che Renzi ha deciso di avviare una consultazione per conoscere la situazione del servizio pubblico radiotelevisivo. Tale procedura non mi convince, perchè a volte sentire tutti può equivalere a non sentire nessuno: sono stati interpellati un centinaio di soggetti a vario titolo, ma non abbiamo idea di cosa sia emerso, e l’aspetto più sgradevole è che dal confronto sono stati esclusi i sindacati, sapendo che da tempo abbiamo espresso forti preoccupazioni sulla ‘riformina’ Rai che ha modificato il sistema di governance. Se leggiamo ciò in relazione alla riforma costituzionale e al referendum di ottobre, si configura un rapporto strettissimo tra governance Rai e governo del Paese. È un'impostazione assai pericolosa, perché quella riformina ha abrogato due articoli di legge che definivano il profilo di servizio pubblico radiotelevisivo; dunque, si va verso il rinnovo della concessione Rai senza avere un chiaro assetto legislativo: a breve, metteremo in piedi una nostra iniziativa su questo punto”.
“Qualche giorno fa – ha continuato il sindacalista –, abbiamo presentato una piattaforma unitaria per il rinnovo del contratto Rai. Puntiamo a un sistema di relazioni industriali più efficiente di quello precedente, ma il tema principale è la tutela dei profili professionali, che sono importanti per la qualità del servizio. La Rai non è solo un organo d’informazione, ma anche una grandissima azienda di produzione culturale, e quindi il tema della tutela delle professionalità che fanno il prodotto è per noi questione essenziale, perché riguarda le persone e le loro professionalità. Stiamo assistendo ad alcuni movimenti - penso a Vivendi su Telecom -, con l’idea di avere un grande produttore di contenuti che, non a caso, acquisisce un peso importante nel pacchetto azionario di una grande azienda di telecomunicazioni, perché la televisione del futuro, la cosiddetta 4K, viaggerà su fibra ottica. Su questo, oggi avremo un incontro con il direttore generale, e vorremmo capire la Rai dove si colloca, nell’ambito del riassetto della produzione multimediale e in relazione allo sviluppo delle nuove tecnologie”.
“Sui call center – ha proseguito l’esponente Cgil –, ci stiamo battendo per l’applicazione della clausola sociale. Quella norma, conquistata a gennaio, è stata un successo veramente straordinario, e la prima applicazione l’abbiamo avuta a Matera; ora dovremmo concludere un’intesa con Astel, l’associazione delle aziende di tlc, per mettere in pratica la seconda parte della legge che sancisce il principio della continuità del rapporto di lavoro, lasciando alle parti la decisione sulle modalità attuative. Dovremmo farlo introducendo ulteriori criteri di salvaguardia per i lavoratori, e quello sarà un altro passaggio importante, ma ancora non sufficiente, perché il numero dei call center è smisurato. Pensiamo di avviare un processo, una sorta di bollino blu, per quelle strutture con dimensione d’impresa adeguata: serve un sistema che offra un servizio di qualità agli utenti: ciò significa avere operatori professionalizzati, con alle spalle imprese con capitali sufficienti per fare innovazione tecnologica, investimenti, formazione professionale. Questo non è possibile se abbiamo centinaia di call center nei sottoscala, alcuni connessi con la criminalità organizzata. C’è bisogno di un processo di consolidamento del settore”.
“Su Poste ed Enel abbiamo fatto molte pressioni – ha sostenuto il leader sindacale della comunicazione –, perché è evidente che aziende partecipate pubbliche non possono avere comportamenti con società in appalto ispirati al criterio del massimo ribasso. L'incontro con l'ad Caio è stato utile: il gruppo è straordinario per dimensioni e per l'insieme dei servizi offerti: da un lato, gestisce il grosso del risparmio degli italiani, dall’altro, svolge una parte importante del servizio universale, e siccome si è fortemente ridotto il contributo dello Stato, occorre un processo d’innovazione interno che metta in sicurezza soprattutto il servizio pubblico. Ciò significa avviare un confronto con noi, rafforzando in particolare logistica integrata, e-commerce, distribuzione pacchi, stoccaggio merci, dove l’azienda è più in ritardo. Poste vanta un enorme capitale immobiliare e umano, da mettere a disposizione di un progetto della logistica integrata, quale volano di sviluppo. Così come abbiamo chiesto che il servizio svolto nelle aree metropolitane sia decisamente più ampio e prolungato anche rispetto agli orari giornalieri: il tradizionale recapito di lettere e cartoline è in netto calo, ma e-commerce, logistica e un servizio rinnovato ai cittadini sono segmenti in crescita anche dal lato occupazionale”.
“Comunicazione è anche cultura – ha concluso Cestaro –, e così abbiamo scelto di essere in piazza della Repubblica a Roma, sabato 7 maggio, assieme a quanti hanno deciso di lanciare quell'appello che va sotto il capitolo emergenza cultura. C'è una tendenza sempre più forte, in particolare da Renzi e Franceschini, ma anche dai governi precedenti, dell'uso mercantile delle grandi istituzioni culturali, che debbano avere un mercato anche dal punto di vista turistico, ecc. Su questo, siamo assolutamente favorevoli, ma non può essere l'unico elemento di valutazione di grandi istituzioni culturali, considerando le grandissime difficoltà in cui versano le fondazioni lirico-sinfoniche, con il Governo che non fa nulla: siamo preoccupati che i teatri diventino scatole vuote da riempire di volta in volta con grandi eventi, rinunciando a quel ruolo di formazione della cultura del sistema Paese”.