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Le donne e il lavoro: c’è ancora molto da fare. Qualifiche inferiori agli uomini, differenze retributive sostanziali e una maggiore diffusione della precarietà con tipologie contrattuali come il part time che coinvolgono in misura maggiore le donne. Sono i principali elementi che emergono dallo studio condotto dal Novella Lodolini dell’Ires Cgil Marche, dal titolo “Parità e pari opportunità nei luoghi di lavoro delle Marche”, presentato oggi nel corso dell’iniziativa promossa dalla confederazione, presente anche la segretaria nazionale Serena Sorrentino.
LO STUDIO: LE CARATTERISTICHE
Lo studio riguarda un gruppo di 133 aziende, si tratta di imprese dei principali settori manifatturieri: gli occupati sono 44.000 di cui 18.000 donne e 26.000 uomini. Le donne rappresentano l’82,9% degli occupati nelle cooperative sociali, il 72,6% nell’abbigliamento, il 54,6% nel calzaturiero, il 48,0% nel commercio e il 47,9% nel credito. Percentuali più contenute nel settore chimico dove le donne sono il 26,2%, il 4,0% nella meccanica, il 22,9 nel mobile.
OPERAI
Su un totale di 22.262 operai, le donne sono 8.070, pari al 36,3% e, in quasi tutti i settori, si concentrano nei livelli di inquadramento più bassi. Nell’abbigliamento, le operaie sono il 76,9% del totale, concentrate soprattutto al 2° livello, ma si riducono notevolmente nei livelli successivi. Analogamente nella meccanica dove le donne sono il 22,3% del totale degli operai, concentrate soprattutto nel 3° e 4° livello mentre sono pochissime tra gli operai specializzati del 5° livello. Nel commercio, le operaie sono concentrate soprattutto al 4° livello.
IMPIEGATI
Tra il personale con qualifica impiegatizia, le difficoltà delle donne ad accedere ai livelli più alti sono nel complesso più evidenti: i 16.374 impiegati sono costituiti per il 49,3% da donne. Anche in questo caso, la presenza femminile decresce se si sale con i livelli. Nella meccanica, le donne rappresentano il 29,3% degli impiegati, concentrate soprattutto al 5° livello ma pochissime raggiungono l’8° livello. Nel mobile, il 40,8% degli impiegati è donna e nei livelli medio-bassi le donne sono la maggioranza. Anche nell’abbigliamento, le impiegate si concentrano nei livelli medio-bassi e sono poche quelle che raggiungono i livelli più elevati. Nella chimica-plastica, le donne sono il 51,1% degli impiegati e a differenza dagli altri settori, la loro presenza è piuttosto equilibrata.
QUADRI E DIRIGENTI
Le donne quadro sono 1.144 e rappresentano il 29,9% del totale dei quadri presenti nelle aziende esaminate (concentrate soprattutto nel settore del credito), mentre le donne dirigenti sono appena 44 su 493 dirigenti pari all’8,9%.
TIPOLOGIE CONTRATTUALI
Nelle aziende esaminate, il 94,7% dei lavoratori ha rapporti di lavoro a tempo indeterminato, complice anche la crisi che ha falcidiato nel tempo le altre forme contrattuali. I contratti a tempo determinato sono il 4,0% del totale e la percentuale più alta si registra nelle cooperative sociali (11,5%), nel calzaturiero (8,2%), nel commercio (5,7%) e nell’abbigliamento (5,2%): settori in cui la presenza femminile è significativa. I rapporti a tempo parziale sono in media il 15,8%% e interessano il 32,0% delle donne contro il 24,9% degli uomini. I part time si concentrano soprattutto nella cooperazione sociale, dove rappresentano la quasi totalità dei rapporti di lavoro, soprattutto per le donne. In queste 133 aziende, nel 2013, ci sono state 3.056 nuove assunzioni, equamente distribuite tra uomini e donne, e 2.906 cessazioni. Occorre rilevare che oltre la metà delle cessazioni è dovuta alla scadenza dei contratti a termine: 1.458 scadenze di contratto di cui il 55,5% di lavoratrici.
RETRIBUZIONI
La retribuzione media lorda annua di questi lavoratori (al netto dei dirigenti) è di 26.600 euro, ma se la retribuzione media di un uomo è di 29.600 euro, quella di una donna è di soli 21.100 euro: quindi le lavoratrici percepiscono in media 8.500 euro in meno rispetto agli uomini. Le differenze retributive possono essere condizionate da un maggior ricorso per le donne al part time, anche se spesso si tratta di part time involontario, e ai contratti a termine. Anche il ricorso alla cig, che interessa un’azienda su cinque, condiziona i livelli retributivo esaminati. In ogni caso, si osservano diseguaglianze particolarmente significative.
Tra gli operai, le differenze retributive tra donne e uomini variano da -1.600 euro per le operaie dell’abbigliamento di 2° livello, a -7.800 per il 4° livello. Nella chimica-plastica, le operaie al livello H percepiscono 1.400 euro in meno rispetto a un uomo dello stesso livello, differenza che arriva a-3.500 euro per il livello F. Analogamente negli altri settori, fatta eccezione per la cooperazione, dove si registrano differenze minime.
Differenze ancora più marcate tra gli impiegati: nella meccanica un’impiegata al 3° livello percepisce 2.500 euro in meno rispetto a un collega di pari livello e tale differenza arriva fino a 9.000 euro per l’8° livello; nel commercio un’impiegata di 4° livello percepisce 607 euro in meno rispetto a un collega, ma per le impiegate al 3° livello la differenza sale a -5.400 euro; nel settore chimico-plastica le impiegate al livello C percepiscono 3.300 euro in meno dei colleghi maschi, mentre un’impiegata dell’abbigliamento al 4° livello ne percepisce 3.800 in meno.
PROMOZIONI
Nelle aziende prese in esame, le promozioni sono state 1.186 ma la quota di uomini a cui è stato riconosciuto un passaggio di livello è quasi il doppio di quella delle lavoratrici; infatti solo il 34,6% delle promozioni ha riguardato donne: 273 impiegate, 70 operaie, 47 quadri, 18 apprendiste e 2 dirigenti.
TEMPI DI VITA E DI LAVORO
Risultano usufruire di aspettative e congedi 1.551 lavoratori e lavoratrici di cui 1.007 donne in maternità e solo 13 uomini in congedo parentale: è chiaro dunque che il peso delle responsabilità familiari è prevalentemente a carico delle donne.
CONCLUSIONI
“Sono evidenti le criticità e le situazioni di svantaggio per le donne – dichiara Daniela Barbaresi, segretaria regionale della Cgil Marche –. Le donne hanno infatti qualifiche generalmente inferiori a quelle degli uomini, un fenomeno particolarmente accentuato nel mercato del lavoro italiano”. Inoltre “le differenze retributive tra uomini e donne sono ancora consistenti, nonostante la crisi abbia ridimensionato il ricorso allo straordinario e il peso del salario accessorio. Differenze spesso commisurate al tempo lavorato che penalizzava le donne”. Dunque, conclude Barbaresi, “siamo di fronte ad un sistema produttivo che non valorizza le competenze espresse dal lavoro femminile, un sistema con troppi elementi di arretratezza che vanno rimossi”.
Aggiunge Paola Petrucci, consigliera regionale di parità: “Nella mia esperienza di consigliera di parità provinciale e regionale, ho constatato come, nel periodo di crisi, le donne tendano a non denunciare discriminazioni per non perdere il posto di lavoro. La soluzione vincente è quella di entrare nelle aziende, non per singoli casi, ma per questioni di carattere collettivo, mettendo attorno ad un tavolo tutti i soggetti interessati per definire insieme percorsi per un benessere lavorativo, non solo delle donne, ma di tutti i dipendenti con un ritorno, sia per efficienza sia per qualità, anche all’azienda”.