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Si può fare denuncia sociale in diversi modi. Anche attraverso un film, anche attraverso un libro che scrive di film che trattano il tema cardine per il sindacato: il lavoro. “La dissolvenza del lavoro. Crisi e disoccupazione attraverso il cinema”, di Emanuele Di Nicola, edito da Ediesse, è un testo agile e appassionante. E appassionata e coinvolgente è la scrittura dell’autore, giornalista e critico cinematografico, che dopo più di un anno di lavoro e la visione di 500 pellicole, ne ha scelte una cinquantina per offrire uno spaccato delle condizioni di lavoratrici e lavoratori, con le ripercussioni sul loro essere donne e uomini, nel tempo della frantumazione del lavoro.
“Questo è un bel libro. Nessuno, finora, aveva esaminato in modo sistematico come il cinema osserva il lavoro oggi, in particolare dal 2008 con l’avvento della crisi economico-finanziaria” scrive in prefazione Renato Fontana, professore di Sistemi organizzativi complessi e sistemi socio economici alla Sapienza di Roma. Per il docente, “non si può sottovalutare il valore sociale del cinema che rappresenta il lavoro. Il cinema ha anche un forte valore di denuncia”, oltre che indurre a “riflettere su questioni importanti del nostro sistema socio-economico”.
È lo stesso Di Nicola a rimarcare che questo suo libro “vuole descrivere il presente” e non, invece, essere carrellata storica del cinema sul lavoro. “Il cinema inizia con il lavoro”, nel 1895, con “le operaie e gli operai che escono dalla fabbrica” nel film dei fratelli Lumière, L’uscita dalle officine Lumière. Ma altro è l’obiettivo del critico. “Come si racconta il lavoro oggi? Quali sono i registi principali, i vecchi maestri e i nomi nuovi? E soprattutto, come ne parlano attraverso il loro stile?”. Questi sono tra i nodi posti dal volume, su due soggetti di fondo: recessione e licenziamenti.
Il testo è strutturato in sei capitoli: la disoccupazione, i precari, le donne, i lavoratori maturi, i manager, la metafora. I primi cinque sono chiusi dalla scheda di uno studioso che inquadra il tema per com’è fuori ripresa, nella vita vera. Questa la sequenza: L’Italia senza lavoro (Manfredi Alberti); Flessibilità e insicurezza (Ludovica Galotto); Il tetto di cristallo (Mariaroberta Cioce); Rimpiazzati dai software (Maurizio Minnucci); Se il padrone è il manager (Michela Boldrini e Gabriele Dente).
L’autore ha scelto un regista diverso per ogni film (salvo un dittico e una trilogia), da Ken Loach, il “maggiore cineasta vivente sul tema del lavoro”, a Lars von Trier, da Stéphane Brizé a Jean-Pierre e Luc Dardenne, da Laurent Cantet a Robert Guédiguian. Per gli italiani – unici ad affrontare il tema del precariato –, da Michele Placido a Silvio Soldini, da Gianni Amelio a Francesca Comencini, da Daniele Vicari a Paolo Virzì. I titoli affrontati non ve li diciamo. Apposta.
Scorrere queste belle pagine è davvero rivedere film già apprezzati e invoglia a vedere quelli perduti, come vuole Di Nicola. “La ricompensa per me si nasconde in una perversione personale – scrive –: immaginare che chi legge il libro, chiusa l’ultima pagina, vedrà o rivedrà almeno uno dei film citati. Sarà allora, forse, che avrò portato la mia pietruzza. Buone visioni e buon lavoro”.
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