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Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti viene rapito e ucciso dai fascisti. A causare la morte del deputato socialista, le sue denunce dei brogli elettorali attuati dalla nascente dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e le sue indagini sulla corruzione del governo. “Voi che oggi avete in mano il potere e la forza – aveva detto il 30 maggio Matteotti alla Camera –, voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della nazione”.
È profondamente sbagliato, a giudizio di Matteotti, continuare “più oltre a tenere la nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni” (leggi tutto).
Sarà l’ultimo discorso pubblico di Giacomo Matteotti: il 13 giugno Filippo Turati darà in Parlamento la notizia della sua scomparsa, mentre il corpo sarà ritrovato due mesi dopo, il 16 agosto. Per protesta contro il rapimento e l’assassinio del deputato socialista, tutta l’opposizione parlamentare si ritira sul cosiddetto Aventino. Seguono mesi di braccio di ferro, in cui il governo fascista sembra sul punto di capitolare. Ma il 3 gennaio 1925, con un famoso discorso alla Camera, Mussolini si assume in prima persona la responsabilità politica del delitto: “Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”.
Sul piano sindacale, con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconoscono reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro, abolendo le Commissioni interne. La sanzione ufficiale arriva con la legge n. 563 del 3 aprile 1926, che riconosce giuridicamente il solo sindacato fascista – l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro –, istituisce una speciale magistratura per la risoluzione delle controversie di lavoro, cancella il diritto di sciopero. Il 4 gennaio 1927, in seguito ai provvedimenti emessi dal fascismo, il vecchio gruppo dirigente della Cgdl, tra cui Rinaldo Rigola e Ludovico D’Aragona, decide l’autoscioglimento dell’organizzazione, immediatamente però ricostituita a Parigi da Bruno Buozzi.
Durante la prima Conferenza clandestina di Milano del febbraio 1927, anche i comunisti danno vita a una loro Confederazione generale del lavoro; in questo modo, dalla fine degli anni venti e fino alla caduta della dittatura fascista, convivono due Cgdl: una di ispirazione riformista, aderente alla Federazione sindacale internazionale, l’altra comunista, aderente all’Internazionale dei sindacati rossi. A capo della Cgdl comunista, dopo l’espulsione di Paolo Ravazzoli dal Pcd’I, è chiamato nel 1930 Giuseppe Di Vittorio. Fino alla metà degli anni trenta i rapporti tra le due confederazioni si mantengono tesi. Quando però il pericolo fascista diventa concreto, soprattutto in seguito alla presa del potere da parte di Hitler in Germania (gennaio 1933), le diverse componenti della sinistra riescono a trovare un terreno comune di iniziativa, evidente nella politica dei Fronti popolari in Francia e Spagna.
Gli effetti si fanno sentire sia sulla politica italiana (con la firma nel 1934 del Patto di unità d’azione tra Pcd’I e Psi), sia sul sindacato, con la firma, il 15 marzo 1936, della Piattaforma d’azione della Cgl unica: “La Cgl ha lo scopo di raggruppare tutti i lavoratori salariati – recita l’articolo 1 dell’accordo – d’ogni corrente politica o religiosa, per la difesa e il miglioramento delle proprie condizioni di vita, sviluppando questa lotta sino all’abbattimento del fascismo e del regime capitalista, condizione indispensabile per l’emancipazione totale del lavoro”.
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale