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Oltre un secolo fa (123 anni, per la precisione) “inventarono” il pandoro. Ma oggi, per la prima volta, il dolce veronese noto in tutto il mondo potrebbe non comparire più sulle nostre tavole natalizie. Il futuro della Melegatti, infatti, è zeppo di incognite. Giovedì 5 ottobre è partita la cassa integrazione ordinaria per i 70 addetti dei due stabilimenti di San Giovanni Lupatoto e San Martino Buon Albergo (inaugurato in febbraio), mentre martedì 10 la crisi della società approderà in Prefettura (in contemporanea Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil terranno un presidio in piazza dei Signori). Il 30 ottobre, infine, è fissata l'assemblea straordinaria dei soci per sottoscrivere l'aumento di capitale.
“La situazione è molto complessa e delicata. Le cose sono precipitate e in piena campagna natalizia la produzione dei due stabilimenti è ferma. Allo stabilimento di San Martino Buon Albergo hanno addirittura coperto con il nylon i macchinari, i dipendenti sono in ferie forzate o in cassa integrazione”. Non nasconde la propria preoccupazione Paola Salvi, segretaria della Flai Cgil di Verona, rimarcando che “i dipendenti aspettano due mesi di stipendio, ma qual che è peggio è che i fornitori non sono stati pagati: così, senza materie prime, i pandoro non si possono fare”.
Per la dirigente sindacale la Melegatti “potrebbe farcela, ma l'attuale amministratore delegato e presidente Emanuela Perazzoli deve farsi da parte. Per il rilancio occorrono un aumento di capitale e l'arrivo di un nuovo imprenditore che abbia voglia di investire in quest’azienda”. Le possibilità ci sono, ribadisce Salvi, ma “se davvero l'attuale presidente tiene al futuro dell’azienda deve mettersi una mano sul cuore. La Melegatti non può morire, ha grandi potenzialità, ci sono imprenditori interessati a entrare e a rilanciarla, e anche le banche sono disposte a continuare a darle credito”.
“La fortuna, lo sai, con Melegatti è più dolce che mai” diceva il famoso jingle dello spot con Franca Valeri. Ma di dolce, in questa crisi, non c’è nulla. A motivarla un mix di cause: le tensioni tra le due famiglie (Ronca e Turco) che si dividono la proprietà, una situazione debitoria pari a 15 milioni di euro (a fronte di un fatturato 2016 di 70 milioni), la mancata diversificazione dei prodotti, l’assenza di una strategia organizzativa, l’abbassamento dei prezzi al consumo. I dipendenti (cui si aggiungono 230 stagionali) sono in stato d’agitazione e nei giorni scorsi hanno organizzato scioperi e presidi. L'amministratore delegato Emanuela Perazzoli giovedì 5 ottobre ha voluto rassicurare tutti (“È un momento di crisi, con il mese di novembre riprenderemo quota come deve essere e come è sempre stato” ha dichiarato), ma per ora la produzione è completamente ferma.