Con le scelte legislative che il governo Renzi ha imposto a tappe forzate, il mondo del lavoro è stato colpito su cruciali questioni di identità, di memoria, di interessi collettivi. Un attacco così sistematico e totale progettato per distruggere il sindacato come soggetto democratico, per cancellare le conquiste del lavoro e la sua dignità nello spazio sociale, a nessun governo era mai riuscito.

Il successo del programma massimo, di consegnare tutto il potere alle imprese entro le aziende e gli uffici, muta in profondità la natura dei soggetti politici in campo. Per il Pd non si tratta più di una pura questione di “amalgama mal riuscito”. Appare in tutta la sua evidenza un drammatico mutamento genetico sulle tematiche del lavoro che lo allontana da una qualsiasi versione, anche la più moderata, di sinistra europea.

Se all’assemblea della minoranza Pd, che si è tenuta il 21 marzo all’Acquario di Roma, D’Alema ha evocato un soggetto per “la rinascita della sinistra”, ciò significa che una sinistra politica per lui non esiste più, è stata travolta. E però le lentezze, i ritardi, gli opportunismi della minoranza del suo partito hanno determinato un immenso deserto politico.

Non solo un soggetto sociale connesso al lavoro non è più rappresentato nel Parlamento monoclasse, ma proprio il lavoro viene esplicitamente colpito dal “governo del fare”. La proposta di una “coalizione sociale” di forze che si mobilitano per rispondere alla metamorfosi neoliberista del governo occupa uno spazio abbandonato dalla politica.

Un momento di resistenza, di difesa, è inevitabile quando l’aggressione del governo è spietata e recide antiche postazioni e simboli. Il problema aperto è che, oltre le sacche di mobilitazione sociale per bloccare disegni di “nientificazione” del lavoro, occorre anche la capacità di disegnare una diversa forma politica.

Anche se non tocca al sindacato partecipare al gioco competitivo per presentarsi alle elezioni, è indubbio che una sua più visibile funzione di stimolo e di iniziativa nello spazio politico è una mossa ormai indispensabile, proprio per conservare margini di autonomia del sociale. Senza un passo esplicito nella conflittualità su temi pubblici, con un agire propedeutico a una soggettività politica, per il sindacato rischiano di restringersi i margini della sua capacità di rappresentanza sociale.

Per mantenere i tratti generali di sindacato confederale e, quindi, per sabotare con efficacia le mosse del governo, che intendono sospingere le organizzazioni collettive verso gli impotenti approdi aziendali-corporativi, è indispensabile conquistare sicuri margini di manovra nel politico. La “coalizione sociale”, che si mobilita nella piazza di Roma, evidenzia un’emergenza, indica una giuntura critica che o trova interpreti politici nuovi o è destinata a rifluire.

Ciò significa assumere la consapevolezza che il mondo del lavoro è penetrato in uno stato (nascente) che potrebbe preludere all’organizzazione di una nuova soggettività politica, alternativa al Partito Unico della Nazione e al suo programma neopadronale.