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“Il World class manufacturing: dai principi all’applicazione. Il caso della Fiat”. È il titolo della ricerca, che sarà presentata oggi (23 gennaio) nel corso di un seminario organizzato dal Dipartimento di Economia e Diritto della Sapienza Università di Roma, promossa dalla Fim Cisl e che ha coinvolto, a partire dal 2013, circa 5.000 lavoratori in 30 stabilimenti Fiat in Italia, con l’obiettivo di acquisire informazioni sulle condizioni di lavoro e sulle relazioni sociali all’interno delle fabbriche del Lingotto dopo 8 anni di applicazione del Wcm, la strategia sviluppata negli Usa negli anni novanta, giunta in Italia nel 2005 nel gruppo Fiat e basata sul controllo e la riduzione dei costi produttivi con metodi riferibili e oggettivabili.
Scopo della ricerca non è stato quello di testare la validità del Wcm dal punto di vista economico, e nemmeno di analizzare le relazioni industriali in senso stretto, né gli accordi sottoscritti dall’azienda con le sigle di categoria italiane, bensì di fornire alcune evidenze – basate sull’esperienza Wcm – relativamente al miglioramento delle condizioni e della qualità del lavoro, all’innovazione e alla produzione d’eccellenza, allo sviluppo della partecipazione dei lavoratori e al coinvolgimento dei sindacati per conseguire livelli di produttività che consentano di competere nell’economia globale.
“Lo studio – scrivono nell’introduzione Alberto Cipriani, Luisella Erlicher, Paolo Neirotti, Luciano Pero e Luigi Campagna – si è collocato nel filone delle indagini empiriche sugli effetti dell’innovazione a base organizzativa nell’industria manifatturiera, conseguenti al grande cambio di paradigma in corso dalla fine del Novecento e noto come passaggio dall’era fordista al post-fordismo.
Innovazione che, negli ultimi due decenni, è stata trainata in primo luogo dalle ricerche sul Toyota Production System”.
Nel merito, gli obiettivi che la ricerca si è proposta di raggiungere sono riconducibili a tre principali domande: a seguito dell’introduzione del Wcm, come sono mutate le condizioni di lavoro in fabbrica? In particolare, come sono cambiate la sicurezza, la fatica fisica e mentale, l’ergonomia? Quali sono le pratiche di partecipazione dei lavoratori implementate nell’ambito del nuovo sistema? Quali le percezioni in termini di efficacia personale rispetto ai cambiamenti e le opinioni in ciascuna fase rispetto ai risultati raggiunti?
Riguardo ad alcuni aspetti delle condizioni di lavoro, in particolare la sicurezza, l’ambiente, l’illuminazione, prevalgono i giudizi positivi. Le valutazioni sono invece prevalentemente negative per quel che riguarda le variabili legate alla fatica fisica, allo stress e alla capacità del sistema delle pause di permettere al lavoratore di recuperare. Gli impianti di motori e cambi costituiscono l’unico comparto dove prevale, seppur di poco (leggermente più della metà degli interpellati), chi ritiene che il Wcm abbia contribuito a una riduzione di fatica e stress nei tempi di lavoro.
Per quanto attiene al tema della partecipazione, dalle risposte emerge una vasta adesione alla campagna dei suggerimenti, con giudizi molto positivi dei lavoratori, a cui si contrappone invece una prevalenza di giudizi negativi rispetto al ciclo di restituzione delle risposte al lavoratore. “Dare suggerimenti per il miglioramento – sottolineano gli autori della ricerca – è una pratica molto apprezzata. Vi è un diffuso interesse a fare proposte, a parlare del proprio lavoro: c’è una richiesta diffusa di coinvolgimento, con un maggior contributo di intelligenza e di riconoscimento dei protagonisti”.
Dallo studio emerge infine con chiarezza che il miglioramento della qualità del prodotto e la riduzione degli sprechi in fabbrica vengono considerati un risultato positivo, che viene riconosciuto dai lavoratori in modo generalizzato. Più articolate e meno univoche le risposte alle domande sui temi di “autoefficacia” (“sento di contare di più”). L’impegno intellettuale maggiore è riconosciuto da una leggera minoranza (43,7 per cento), ma presenta forti variazioni tra alcuni stabilimenti (per esempio Pomigliano) nei quali il Wcm richiede un impegno concettuale più evidente e altri in cui è cambiato poco rispetto alla vecchia fabbrica.
“La ricerca – sottolineano ancora Cipriani, Erlicher, Neirotti, Pero e Campagna – ha evidenziato e approfondito alcuni problemi specifici che richiedono ulteriori approfondimenti di analisi teoriche e di sperimentazione più avanzate”. A emergere in primo luogo è “una criticità nella questione del tempo e dello stress. È emerso che la lotta agli sprechi e l’eliminazione dell’attività a non valore aggiunto hanno reso il tempo meno poroso, soprattutto ai montaggi. Ciò è stato percepito da molti come intensificazione dei ritmi. Questa percezione è molto più bassa nelle situazioni come Pomigliano, dove la progettazione dei nuovi posti è stata effettuata con criteri ergonomici, con investimenti in tecnologie e con la condivisione delle nuove soluzioni all’interno del team, che ha aperto la strada alla rotazione”.
In secondo luogo, continuano i ricercatori, “il team non è solo la chiave di volta della partecipazione ma anche il luogo dove elementi fondamentali come la rotazione, l’impegno cognitivo e i suggerimenti possono essere sviluppati in tutte le loro potenzialità. Ciò richiede, da un lato, che il team leader non si realizzi come ‘capetto’ ma come un leader professionale del miglioramento e, dall’altro, che al team venga riconosciuto ordinariamente uno spazio di tempo per affrontare i problemi di gestione e non solo di miglioramento. Bisogna potenziare lo sviluppo autonomo del team e dei ruoli collegati, anche nella fasi intermedie, dove la sua assenza è emersa come un fattore di criticità”.
Un ultimo cenno all’approccio centralista finora adottato dal sistema Wcm, che “ha avuto successo e raggiunto importanti obiettivi, ma su alcuni punti come la circolazione del know-how, il coinvolgimento dei professional e la soluzione di problemi di tipo soft mostra difficoltà. Un approccio meno centralistico, basato anche su network professionali e su un maggior utilizzo delle tecnologie di social network dentro la fabbrica, potrebbe essere di utilità, qualificando ulteriormente i modi della partecipazione”.