Dopo la conversione in legge del decreto 101, alcuni nodi irrisolti della Gestione Separata Inps, non affrontati, continuano a incidere pesantemente sul reddito e sulla futura pensione dei collaboratori: circa 500 mila lavoratrici e lavoratori, di cui 180 mila particolarmente fragili, con redditi bassi e discontinui. Le ultime statistiche disponibili (dati provvisori Inps, 2018), infatti, indicano in 493 mila i collaboratori esclusivi, di cui 450 mila con un unico committente e con un reddito medio pari a 21.742 euro. Tra questi, i lavoratori più deboli sono i collaboratori a progetto (142.038), con un reddito medio che va dai 6.770 euro delle donne ai 13.350 degli uomini, e i collaboratori nella pubblica amministrazione (32.931) che percepiscono circa 9.500 euro l’anno (9.403 le donne e 9.713 gli uomini).
La denuncia arriva da Felsa Cisl, NIdiL Cgil e Uil Temp: "Nel Decreto 101, convertito in legge, sono stati introdotti alcuni interventi molto importanti che rispondono, però, solo parzialmente alle richieste dei sindacati a tutela degli iscritti alla gestione separata Inps. Ridotto, ad esempio, da tre mesi a uno, il requisito per accedere a maternità, congedi parentali, malattia e disoccupazione. Raddoppiati fino a 89 euro, gli importi per i ricoveri ospedalieri e fino a 44 euro, gli importi per la malattia ordinaria".
Sono rimasti sul piatto, però, tre punti che potrebbero trovare subito soluzione, se inseriti già nella prossima Legge di Bilancio. Gli emendamenti sono stati presentati e attendono di passare al vaglio delle commissioni. Il primo punto riguarda i collaboratori iscritti esclusivamente alla gestione separata Inps, che versano un’aliquota previdenziale pari all’11% del compenso, mentre i lavoratori dipendenti versano il 9,19%. Per ristabilire un principio di equità, chiediamo di spostare l’1,81% in più nella quota di contribuzione che fa capo al committente, così come accade nei rapporti di lavoro subordinati. Ciò aumenterebbe il reddito disponibile dei collaboratori che, per le fasce più basse, in media e al lordo delle tasse, sarebbe compreso tra i 123 e i 242 euro in più all’anno.
Il secondo punto riguarda il versamento dell’aliquota previdenziale: se il committente, dopo avere trattenuto la quota contributiva dell’11% dal compenso del collaboratore, poi non lo versa all’Inps, succede che il lavoratore non può accedere alle prestazioni sociali (fa eccezione l’indennità di maternità) e quei contributi non potranno essere utilizzati per determinare il calcolo della futura pensione. Chiediamo di ripristinare un principio di equità, affinché non sia il lavoratore che, dopo avere subito regolarmente la trattenuta della sua quota previdenziale, se il committente poi non la versa all’Inps, poi si trovi anche a subire il maggior danno. Il terzo punto, infine, riguarda le lavoratrici e i lavoratori percettori di Dis Coll, cioè l’indennità di disoccupazione per i collaboratori, che non prevede alcuna contribuzione a fini pensionistici. Chiediamo di introdurre la contribuzione figurativa a fini pensionistici per i periodi di Dis Coll, così come avviene per tutte le altre indennità di disoccupazione previste nell’ordinamento.
Dopo le maggiori tutele introdotte dal decreto 101, questi tre emendamenti ristabilirebbero un principio di equità nel quotidiano, ma bisognerà presto affrontare il nodo del futuro pensionistico di intere generazioni di lavoratori discontinui e con carriere lavorative fragili e povere in termini di reddito e contributi. Dai sindacati FeLSA Cisl, NIdiL Cgil e Uil Temp, l’appello di "iniziare a costruire già adesso una prospettiva previdenziale più solida e meno precaria: chiediamo al Governo d'intervenire ora, senza altri rinvii, per costruire una pensione di garanzia per tutti.
“Chiediamo a governo e Parlamento un segnale in favore di una fascia di lavoratori, i collaboratori, che vivono spesso una doppia condizione di difficoltà, quella di reddito e quella previdenziale – afferma Andrea Borghesi, segretario generale NIdiL Cgil –. Proponiamo di approvare da subito, in legge di Bilancio, tre provvedimenti che puntano all'equità e che guardano al futuro delle persone. Ribaltare sul committente quella parte di aliquota ingiustamente a carico del lavoratore, che per la parte più debole dei collaboratori dal punto di vista del reddito, quelli ancora classificati 'a progetto' e i collaboratori nella Pa, circa 180.000 persone, porterebbero a un vantaggio economico annuo che va dai 123 ai 242 euro lordi. L'automaticità delle prestazioni significa non riversare sul collaboratore un danno realizzato dal committente nel momento in cui non versa la contribuzione per i periodi di collaborazione".
"Permettere ai lavoratori di poter avere comunque le prestazioni sociali e pensionistiche per un errore non proprio può anche aiutare a combattere l'evasione contributiva spingendo l'Inps a recuperare i crediti non pagati. Riconoscere la contribuzione figurativa per i periodi di Dis Coll equipara la condizione dei collaboratori a quella dei lavoratori dipendenti in caso di Naspi. Questa misura eviterebbe ulteriori ‘buchi’ previdenziali, causati da rapporti di lavoro precari e discontinui. Infine, bisogna definire, come chiedono le tre confederazioni, una pensione contributiva di garanzia, che assicuri pensioni dignitose anche a chi ha avuto carriere discontinue e ‘povere’, cosa purtroppo sempre più frequente in un mercato del lavoro deregolamentato", conclude il dirigente sindacale.