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“Noi non vogliamo mai più ascoltare un lavoratore che dice: con la mafia si lavorava, con lo Stato invece no. Ecco perché, dopo tre anni di discussione, il prossimo 25 settembre il Parlamento dovrà approvare il Codice Antimafia. Siamo stanchi di aspettare”. È un appello condiviso quello che ha rilanciato oggi Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil, chiudendo il dibattito su “Legalità e partecipazione” alle Giornate del lavoro di Lecce. Sul palco con lui la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi e il ministro della Giustizia Andrea Orlando, stimolati dalle domande del giornalista (sotto scorta) Paolo Borrometi. Tutti concordi sulla necessità di portare a conclusione un percorso importante, partito da una legge di iniziativa popolare (“Io Riattivo il Lavoro”) fortemente voluta dalla stessa Cgil, insieme ad altri soggetti dell'associazionismo, come Libera.
“Dobbiamo far sì che la grande intuizione di Pio La Torre di 35 anni fa funzioni non solo per la fase di aggressione ai beni mafiosi, ma anche per quella della gestione da parte dello Stato – ha detto il ministro Orlando – e per questo diventa importante dotare l'Agenzia nazionale dei beni confiscati delle risorse necessarie, anche in termini di competenze e professionalità, per valorizzare questo grande patrimonio”.
Parliamo di circa 10mila aziende, con 200mila lavoratori, che non possono essere lasciati soli. “E per questo – ha osservato Rosy Bindi rivolgendosi al ministro Orlando – sarebbe importante che, insieme all'approvazione del Codice Antimafia, nella prossima legge di Bilancio vengano previsti anche dei fondi per la ristrutturazione degli immobili e per il funzionamento delle aziende confiscate. Perché – ha osservato la presidente dell'Antimafia – se non ci si investe, questo grande patrimonio non dà i frutti che potrebbe dare”.
E a proposito di leggi e dei cambiamenti che esse possono determinare, quella sul caporalato a un anno dalla sua entrata in vigore è certamente un esempio positivo. “Funziona perché non si limita all'inasprimento delle pene, ma individua una filiera di responsabilità, soprattutto per le imprese – ha detto il ministro Orlando – perché è evidente che chi compra i prodotti derivati dallo sfruttamento, che poi in alcune realtà è vero e proprio schiavismo, sa benissimo cosa sta comprando”.
Ma se le leggi sono importanti, c'è un livello più alto della sfida a criminalità e illegalità. “Se vogliamo combattere le mafie serve occupazione, e buona occupazione – ha detto Bindi – per questo non ho condiviso e votato le leggi degli ultimi anni che pensavano di rilanciare il lavoro comprimendo i diritti”. Una ricetta sbagliata secondo la presidente dell'Antimafia, che invece invita a “riprendere quel percorso di emancipazione del lavoro partito da Portella della Ginestra e non ancora finito e che, anzi, nella fase attuale rischia di fare qualche passo indietro”.
Ed è proprio questo anche l'approccio della Cgil: “Come diceva Pio La Torre, anche quando la mafia sembra un'onda insormontabile, in realtà la si può sconfiggere, ma è necessario farlo insieme. E allora il lavoro va rimesso al centro. Il lavoro per uscire dall'oppressione, perché la sua assenza favorisce il ricatto morale verso i deboli e quindi l'illegalità”, ha concluso il segretario Giuseppe Massafra.