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Inutile nasconderlo, ci sono ancora preoccupazioni rispetto alla possibilità che, dopo un percorso lungo quasi 4 anni, il Codice antimafia possa incontrare un nuovo stop. Il testo approderà oggi, 25 settembre, nuovamente a Montecitorio, dopo il via libera della Commissione Giustizia,
che ha concluso l'esame del provvedimento, respingendo tutti gli emendamenti al testo. Ma per divenire finalmente legge, il codice dovrà essere approvato anche in aula senza modifiche rispetto alla versione passata in Senato.
Ma le resistenze non mancano e il rischio che il treno finisca su un binario morto è ancora reale. Consapevoli di questo pericolo nei giorni scorsi il cartello di sindacati e associazioni che nel 2013 ha dato vita alla campagna "Io riattivo il Lavoro" (oltre 100mila firme) ha lanciato un appello alla responsabilità: "Chiediamo a tutte le forze politiche di approvare senza modifiche alla Camera il testo ricevuto dal Senato - si legge nella nota firmata da Avviso Pubblico, Arci, Cgil, Cisl, Uil, Legambiente e Libera - dimostrando in tal modo di avere coscienza di compiere un atto politico di responsabilità, a distanza di 35 anni dall’approvazione della legge Rognoni-La Torre e in un momento storico nel quale le mafie e la corruzione hanno dimostrato la loro pervasività e la loro capacità di inquinare parti della pubblica amministrazione, dell’economia e della società".
Sindacati e associazioni sottolineano come il nuovo Codice antimafia, già votato al Senato, non solo rafforzi alcuni strumenti già esistenti – come ad esempio l’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati – ma migliori anche la normativa in vigore, in particolare per quanto riguarda le misure di prevenzione, tenendo conto dell’esperienza applicativa precedente alla riforma e di alcune criticità che si sono manifestate nella gestione degli immobili e delle aziende sottratte alle mafie e al crimine organizzato. Sono convinti di questo non solo la maggior parte di esperti ed esponenti delle Istituzioni, ma anche il Consiglio superiore della magistratura che il 13 settembre scorso ha approvato una specifica delibera.
Il codice, nel dettaglio, prevede misure di prevenzione personali e di natura patrimoniale, non solo per i reati di associazione mafiosa, ma anche per l'associazione a delinquere per compiere gravi delitti contro la pubblica amministrazione, tra cui peculato, corruzione propria e impropria, corruzione in atti giudiziari. La norma prevede anche una stretta sulle nomine degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati, con la creazione di un albo ad hoc, che assicuri la rotazione degli incarichi. Anche le banche finiscono nel mirino del legislatore, con un controllo esercitato direttamente dalla Banca d'Italia, sia "in ragione del mancato riconoscimento della buona fede" dell'istituto "nella concessione del credito" sia nel "caso di credito vantato dalla banca" rispetto a beni o a aziende finite sotto sequestro.
Altro elemento centrale della norma è l'intervento sull'Agenzia nazionale dei beni confiscati. Innanzi tutto, si prevede maggiore autonomia rispetto al ministero dell'Interno, con la vigilanza che sarà esercitata da Palazzo Chigi. La legge cerca poi di accelerare i tempi per il riutilizzo di imprese confiscate, prevedendo che l'amministratore giudiziario dovrà presentare una relazione, entro 3 mesi dalla sua nomina, sulla futura operatività, altrimenti l'impresa sarà liquidata o cesserà l'attività secondo modalità semplificate.