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L’obbligo di somministrare una quota elevata di cinema o fiction italiane attraverso le reti televisive (almeno il 60 per cento della programmazione dovrà essere europea e di questa ben il 40% italiano) è il rimedio scelto dal ministro Franceschini per soccorrere il made in Italy audiovisivo. Certo, tutelare i nostri prodotti, magari anche favorendo l’ingresso e la crescita di nuove realtà, sicuramente aiuterebbe lo stato di salute del settore cultura nel nostro paese. Ma se in via del Collegio romano stessero sbagliando la cura?
È la Francia a ispirare questa nuova prescrizione, tradotta in un decreto, trascurando ciò che è invece risaputo: la stessa cura non va bene per qualunque malato. La Francia sostiene la sua cultura attraverso un sistema di cui le quote sono solo una parte. In questo paese chi fa cultura ha una rete solida di tutela e vive del proprio lavoro. In Italia, viceversa, il 51,4% di registi, attori, musicisti ecc. percepisce circa 5 mila euro l’anno. Il 37,5% percepisce tra i 5 mila e i 15 mila euro e i professionisti che guadagnano più di 25 mila euro l’anno sono solo il 4,2% (i dati sono tratti dalla ricerca Vita da artisti, condotta dalla Fondazione di Vittorio).
La nostra identità culturale e la crescita della produzione ad essa legata non possono passare per facili scappatoie. Devono invece necessariamente partire dal riconoscimento di reddito e diritti di chi ci lavora. Ma questo Franceschini sembra ignorarlo, considerati i suoi ripetuti inviti agli artisti a esibirsi gratis.
Se non si investe davvero e seriamente, facendo scelte precise e trasparenti, nella produzione culturale e se non si permette a chi fa cultura di vivere del proprio lavoro, imporre la cura da cavallo del 60 per cento potrebbe avere l’effetto di indebolire i contenuti dei nostri prodotti culturali e far crollare gli ascolti delle reti italiane a favore delle piattaforme internazionali la cui offerta sarà sempre più appetibile. Prima che il malato soccomba alla cura, il ministro Franceschini riceva le parti sociali e individui insieme ai lavoratori e a chi li rappresenta i rimedi necessari.
Emanuela Bizi è segretaria nazionale Slc Cgil