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"In questi anni di crisi il primo settore a subire la politica dei tagli è stato la cultura. Lo si è detto e ridetto, vale la pena ripeterlo. E a soffrire di più, oggi, sono gli archivi, la memoria". In vista del rinnovo della convenzione con la Cgil abbiamo chiesto a Ugo Adilardi, presidente dell'Aamod, l'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, di parlarci dei progetti dell'istituto. Ma le difficoltà economiche sono grandi, ed è giusto sottolineare innanzitutto questo problema.
"È un momento delicato – riprende Adilardi –. Trovare finanziamenti, istituzionali e non, è un'impresa per chiunque operi nel settore. Soprattutto, torno a dire, per chi voglia prendersi cura della memoria". Un lavoro che l'eterno presente in cui siamo affogati, ricordiamo, già aveva reso difficoltoso. E che ha subìto un colpo ulteriore a causa della tempesta iniziata nel 2008. Quasi che l'economia sia venuta a dare una mano allo spirito del tempo.
"Sì, l'interesse per la memoria è in discussione ormai da un bel po'; i tagli, dunque, non arrivano a caso. Però nella situazione che si è creata dobbiamo saper reagire". "E reagire – prosegue Adilardi – significa sapere che se i finanziamenti scarseggiano occorre coltivare una capacità di progetto che, credo, si sia un po' smarrita. Negli ultimi anni ci siamo dedicati un po' troppo alla catalogazione. Ma catalogare non è trasmettere. La nostra funzione non è raccogliere punto e basta".
Il racconto dell'Archivio, così come appare sul sito della Fondazione – www.aamod.it – è aperto da una citazione di Cesare Zavattini, che l'istituto fondò e diresse sino alla scomparsa, nell'89. Vale la pena riportarla nella sua interezza: "L'Archivio audiovisivo del movimento operaio è un archivio più del presente che del passato, e i materiali valorosamente raccolti non stanno là nelle scaffalature in una indeterminata attesa, diventando cioè sempre più archivio, secondo il vecchio vocabolario, ma sono invece percorsi da una viva impazienza di entrare nella dialettica odierna delle lotte democratiche, di contribuire a creare una informazione più libera fin dalla sua radice". È questo che vuoi dire?, chiediamo al nostro interlocutore.
"Sì, Zavattini aveva bene in mente quel che l'Archivio doveva essere. Non un magazzino, i materiali seppelliti in 'una indeterminata attesa', ma un istituto capace di farli conoscere, quei materiali, di trasformarli in cosa viva. Per fare questo, ripeto, occorrono progetti reali. Alcuni dei quali, naturalmente, sono già in campo". Vuoi ricordarli? "Il primo è la scuola: la Scuola di cinema documentario intitolata appunto a Zavattini. Un progetto importante, perché offriamo ai giovani la possibilità non solo di accostarsi al documentario ma di farlo anche sulla base di materiali d'archivio, com'è evidente".
I corsi, cominciati in novembre, si concluderanno con quattro storie, presumibilmente di dieci-dodici minuti, ambientate nella Roma in cui l'Archivio è ospitato, quella della vecchia centrale Montemartini e dei primi nuclei industriali lungo la Via Ostiense, di Porta San Paolo, Testaccio e Garbatella. Quattro storie e un bel gruppo di docenti – coinvolte anche alcune delle sette persone che lavorano all'Aamod – a offrire il loro contributo alla formazione dei ragazzi che frequentano i corsi. "Docenti cui abbiamo chiesto un impegno 'militante'", puntualizza Adilardi.
Non ha paura a usare questa parola, il nostro interlocutore. Sa che la caduta nella retorica, nella nostalgia del tempo che fu, in questi casi, è sempre in agguato. Non è un esercizio di retorica, tuttavia, chiedere a una persona di donare parte del proprio tempo per una buona causa. "Solo una parte. Il lavoro va retribuito, ci mancherebbe. Il compenso, però, non può essere di mercato. Questo vale per i corsi che stiamo realizzando, vale per tutte le altre iniziative. L'Archivio ha bisogno di partecipazione militante, non solo di competenze professionali".
Un altro versante dell'iniziativa è costituito dai progetti europei. "L'Europa organizza dei bandi di concorso, non ci sono finanziamenti diretti, che possono essere delle occasioni importanti. Ora, grazie all'esperienza realizzata in Palestina da una nostra collaboratrice, Monica Maurer, abbiamo in mente un progetto con tre partner europei appunto sulla storia di quel popolo negli anni 70-80. In campo ci sono poi altre iniziative, un lavoro sulla dimensione internazionale dell'opera di Zavattini, un altro ancora sulle migrazioni. Molto insomma è il da fare. E sono necessarie per questo nuove collaborazioni: "allargare la base produttiva" come diciamo tra di noi un po' scherzando un po' sul serio. L'Archivio ha il suo cda, per il quale prevediamo fra l'altro un forte rinnovamento, ampliare la rete delle collaborazioni però è vitale".
E il rapporto con il mondo della scuola? "Ci siamo attivati, sia nella scuola che nell'università. Proprio con l'università stiamo promuovendo alcuni corsi, Massimo Sani ne ha realizzato di recente uno su Caporetto". "Vale la pena ricordare, poi, la convenzione stipulata con La Nuova Italia sugli audiovisivi che accompagnano i testi scolastici. Un accordo interessante perché non ci limitiamo, come dire?, alla fornitura dei materiali. L'impegno, invece, è di lavorare insieme a precisi progetti".
"Ancora, un ulteriore filone di iniziativa – continua Adilardi –, è la rete che va costruita con i singoli individui, i gruppi, le associazioni attivi nel sociale. Sono soggetti sovente distanti dai nostri interlocutori storici, impegnati spesso su terreni diversi da quello, tradizionale, del lavoro. Costruire relazioni, provare a diventare punto di riferimento anche per questo mondo, penso possa essere produttivo. Non siamo all'anno zero. Abbiamo fatto esperienze importanti anche nel passato: il lavoro realizzato sul fondo di Libero Bizzarri, ad esempio. Bisogna proseguire su quella strada". È una realtà, quella cui Adilardi fa cenno, che vede una forte presenza giovanile.
Ed è appunto quello delle giovani generazioni, del loro rapporto con il lavoro, della necessità di documentarlo, l'ultimo tema che affrontiamo con il presidente dell'Aamod. L'Archivio raccoglie una mole enorme di materiali sul lavoro così com'era nel Novecento, ricordiamo; ma il lavoro oggi è cambiato... "... e c'è tanta precarietà. Sì, lo sappiamo. Quando ero ragazzo la parola lavoro, qui a Roma, rimandava al cantiere, l'operaio era per noi l'edile. Oggi è tutto molto più complesso e articolato. Bisogna saper produrre progetti che parlino della realtà di questo mondo, diventare anche qui un punto di riferimento. Ma, a rischio di essere noioso, per tutto questo sono necessarie forze nuove. Che non possono arrivare, ripeto, senza una vera, grande passione politica: senza un impegno militante".