(Labitalia) - L'agricoltura è l'unico settore che cresce e crea occupazione. I dati parlano da soli: il valore aggiunto aumenta dell'1,1%, mentre il numero degli addetti sale addirittura del 6,2%. Nonostante la crisi grave e persistente, il comparto, quindi, è estremamente vitale e può fare anche di più con le sue grandi risorse e potenzialità. E' in grado di assorbire in tempi rapidi più di 200 mila disoccupati, ma è indispensabile che vengano abbattuti costi (produttivi e contributivi) e burocrazia che oggi paralizzano le imprese agricole. Nelle campagne, a differenza di industria e servizi, c'è ancora possibilità di lavoro e ciò può essere sfruttato da parte del governo con interventi mirati che consentano agli imprenditori agricoli di riprendere a 'marciare' e di aprire le porte ai tanti lavoratori che sono stati, purtroppo, espulsi dagli altri settori produttivi. Questo il messaggio che la Cia-Confederazione italiana agricoltori ha lanciato ieri nel corso del convegno 'Il contributo dell'agricoltura per la riforma del lavoro e la crescita', organizzato a Roma.
Se si dà una risposta ai vitali problemi, come quello dei costi e dei gravami fiscali, l'agricoltura - sottolinea la Cia - può dare un determinante contributo al Paese. Le condizioni perché ciò avvenga devono, però, essere ben chiare e concrete. Solo così il settore può trasformarsi in un vero 'ammortizzatore sociale' e contribuire alla creazione di nuova occupazione. Non a caso, la Cia propone la creazione a livello territoriale e di distretti produttivi di meccanismi incentivanti il passaggio dei lavoratori dai settori maggiormente in crisi all'agricoltura, valorizzando il ruolo di 'aggregatore sociale' del comparto primario.
D'altra parte, sempre più spesso si assiste a crisi di interi settori soprattutto industriali (i casi recenti sono ben noti: Ilva, Sulcis, Alcoa, Fiat). Per la Cia, appare molto limitativo erogare ammortizzatori sociali che hanno come unico scopo quello contingente di tamponare la situazione di emergenza. Sarebbe, invece, più utile investire risorse per riqualificare questi lavoratori e dare loro prospettive di lavoro in altri settori dove c'è richiesta, come in agricoltura, agevolando le imprese in tale passaggio sotto l'aspetto dei costi, dei contributi e del fisco. Inoltre, le risorse stanziate per la cassa integrazione in deroga in agricoltura sono scarsamente utilizzate (nel 2011 sono state pari allo 0,11% sul totale di quelle stanziate). La Cia ritiene che esse potrebbero essere più utilmente destinate a favorire questa 'riconversione'.
E' stato lo stesso presidente nazionale della Cia, Giuseppe Politi, a sottolineare l'importanza che in questo momento riveste l'agricoltura: "Pur in presenza di una profonda crisi, il settore primario ha 'tenuto' soprattutto sotto il profilo occupazionale. I motivi vanno ricercati nelle caratteristiche del lavoro agricolo, spesso visto come simbolo di precarietà e che, invece, ha dimostrato, proprio per la sua flessibilità, di adeguarsi meglio di altri a una congiuntura fortemente negativa. Ma questo rischia di non bastare più per il futuro. Da qui - spiega - la richiesta della Confederazione di tagliare i costi produttivi, come quello dei carburanti, che pesano in maniera opprimente sulle imprese. A questo si deve aggiungere una sostanziale riduzione degli oneri contributivi, le cui aliquote sono di gran lunga superiori a quelle applicate negli altri paesi europei, e l'esigenza di congrui incentivi e sgravi per premiare i comportamenti virtuosi della aziende".
"Su questo fronte - rimarca Politi - un aspetto di grande rilevanza è rappresentato da una drastica riduzione degli adempimenti burocratici. Le misure che in materia sono state prese dal governo costituiscono certo un passo avanti, ma sono ancora insufficienti. La burocrazia, d'altronde, costa al sistema delle nostre piccole e medie imprese 26,5 miliardi di euro all'anno: tra i paesi più industrializzati solo l'Italia presenta questo record negativo. Un 'mostro' dai mille tentacoli che soffoca anche l'agricoltura, che paga un conto molto salato: oltre 3 miliardi di euro l'anno. Ecco perché - avverte - chiediamo un'accelerazione da parte del governo per rendere meno elefantiaci e costosi i rapporti tra aziende agricole e pubblica amministrazione".
La recente riforma del lavoro -è stato rilevato al convegno Cia- ha correttamente interpretato due esigenze fondamentali del settore agricolo: flessibilità nell'utilizzo dei contratti a termine e regime specifico di sostegno al reddito. Tuttavia, vi sono alcuni interventi sui quali non c'è condivisione. Primo fra tutti, lo strumento dei voucher, su cui si è deciso (e per la Cia non se ne comprende la ragione) di intervenire snaturandolo. Strumento che aveva funzionato e si era dimostrato utile a contrastare il lavoro irregolare, sottolinea, e a favorire l'occupazione dipendente, con un 'boom' di vendite nel 2011 di oltre 15 milioni di buoni lavoro, di cui più del 30 per cento proprio in agricoltura.
Alcuni dati -resi noti nel corso del convegno- evidenziano l'importanza che riveste l'agricoltura nel contesto occupazione. Sono 200.314 le aziende agricole che assumono lavoratori. Il 61,4% è costituito da ditte in economia, cioè imprese che soddisfano il proprio fabbisogno lavorativo esclusivamente attraverso manodopera dipendente. Tra queste, un numero crescente è composto da imprenditori agricoli professionali e società; il 33,9% è rappresentato da coltivatori diretti che assumono manodopera, mentre il 4,6% da imprese di tipo cooperativo, consorzi di bonifica, corpi forestali ed enti pubblici.
Il 76,4% delle imprese agricole assume fino a 5 operai e il 12,7% fino a 10 lavoratori. Il restante 10,9% assume oltre 10 lavoratori. Sono 1.094.365 gli operai agricoli. Se poi si considera anche l'indotto, il numero degli operatori del sistema agroalimentare rappresenta il 12% circa della forza lavoro del nostro Paese.